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Emozioni tra le righe
Palahniuk non è per tutti i palati: troppo forte, persino stucchevole, ma il retrogusto dei suoi romanzi non si dimentica. Parlare di una dipendenza – sessuale, nel caso specifico – dosando alla perfezione dramma e ironia è una sfida che lo scrittore americano accetta spesso e volentieri, in barba al buon gusto, a volte, e ai benpensanti, sempre.
Del politicamente corretto Palahniuk non sa proprio che farsene, dei buoni sentimenti men che meno: le emozioni autentiche, quelle che inumidiscono gli occhi, con lui si leggono tra le righe, sono però scritte a lettere cubitali.
Ed è così che ci sorprendiamo a provare empatia per la sorte del protagonista e di altri personaggi estremi, fino ad immedesimarci con il loro sentire e a ritrovarci dall’altra parte dello steccato, tra la feccia della società, i “depravati”, che ti porgono perle di saggezza con mani sudicie:
« È patetico come non siamo capaci di convivere con ciò che non comprendiamo. Come abbiamo bisogno di etichettare e spiegare e dissezionare tutto quanto. Persino le cose inspiegabili per definizione. Persino Dio».
Cos'è in fondo una dipendenza se non un modo per mettere un argine all'imprevedibiltà dell'esistenza, scegliendo la fine che più ci aggrada? Considerazione paradossale, certo, ma arrivando all'ultima pagina viene da pensare che c'è sempre un po' di logica nella follia:
«“Libertà” non è la parola esatta, ma è la prima che viene in mente».
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Commenti
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@Emilio, noioso è leggere sempre lo stesso genere, per me.
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