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La forza della memoria
Torna in libreria Amos Oz con “Finché morte non sopraggiunga” opera composta da due lunghi racconti, uno omonimo al titolo di cui alla stessa e l’altro, il primo, intitolato “Amore tardivo”. Di fatto, protagonista dello scritto non è altro che l’umanità con tutti i suoi pregi e difetti, giustizie e ingiustizie. Questa umanità trova la sua ragion d’essere nelle voci dei protagonisti di queste vicende.
Voce narrante di “Amore tardivo” è Shraga Unger, di sessantotto anni, vecchio conferenziere del Comitato esecutivo, trasandato e dedito ad una vita dissoluta. Consapevole della sua bizzosa pressione sanguigna, dell’esser reduce dalla rimozione di un piccolo tumore all’intestino, di esser in sovrappeso, di aver delle gengive e dei denti così marci da emanare un odore talmente acre da allontanare i rispettivi interlocutori, di fumare e mangiare senza riguardo, non ha la minima voglia di prendersi cura di se. Vive in uno spartano appartamento sito in una casa popolare di un quartiere popolare e composto da una stanza a cui si sommano i servizi, una piccola cucina, ingresso e balcone illuminati, luogo dove attende, con lucida consapevolezza, la sua sempre più prossima dipartita. La sua esistenza è cadenzata da una rigorosa routine a cui si attiene fedelmente, una routine e una esistenza che ruota attorno all’ebraismo russo. Non ha la minima intenzione di rinunciare al suo ruolo e di lasciar spazio ai più giovani che sicuramente non hanno la stessa passione, la stessa verve, lo stesso animo di lottare e difendere le proprie radici. Da qui, i Kibbutz, da qui lei: Ljuba Kaganovskaja, che con lui si esibiva nei lunghi peregrinaggi e che oggi maggiormente rappresenta “l’amore tardivo” assieme alla questione degli ebrei nella Russia sovietica, il complotto, cioè, bolscevico per sterminare i popolo ebraico e poi procedere con il resto del pianeta.
E la tematica ebraica, non manca nemmeno nella seconda parte della storia, porzione dell’opera dedicata a Gerusalemme e a questa banda di sgangherati crociati che provano in tutti i modi a raggiungere la Terra Santa senza riuscirvi.
Una trama solida, quella presentata, dove a fianco della tematica principale vengono trattate questioni quali l’amore, la guerra, le persecuzioni, la malinconia del vivere, la ricerca del proprio posto nel mondo come singoli e come collettività. Una trama, ancora, avvalorata da uno stile preciso, meticoloso, prezioso, erudito, talvolta prolisso. Elemento però quest’ultimo, che rende più veritiera la figura dell’anziano, che lo stratifica.
Mediante la penna di Amos Oz assaporiamo una Tel Aviv e un Israele che non esistono più e riassaporiamo, ancora, una Europa arcaica e crudele che ha segnato la nostra identità in quella costante insoddisfazione al vivere. Un malessere che si concretizza in odio, in morte, in rabbia. Perché tutti cerchiamo la nostra ragione d’essere e di esistere e le risposte ai nostri perché. Un piccolo gioiello. Impegnativo, affatto semplice da leggere nonostante la sua brevità, eppure indelebile.
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Sono un estimatore di Oz, ma non sapevo di questo libro. Una bella segnalazione, quindi.