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“Le nostre ali e le nostre catene”
Ci sono forze che nessuna legge fisica potrà mai codificare e nessuno strumento potrà mai misurare. Sono quei fili trasparenti e impalpabili che ci tengono legati alla famiglia, ai ricordi, al passato. Non sappiamo nemmeno di averli stipulati, eppure questi silenziosi patti sono capaci di mettere a tacere la voce, di bloccare la mano, di imprigionare il cuore. Sono “i trampolini da cui troviamo la forza di lanciarci e le trincee in cui seppelliamo i nostri sogni”.
Ragnatele di silenzi e sensi di colpa, capaci di imprigionare e distruggere un’intera esistenza, ma anche fili con cui cucire nuovi, salvifici legami.
Delphine de Vigan affida a questo romanzo una storia a quattro voci, due ragazzini e due donne adulte, per scrutare questo lato complesso e oscuro dei legami famigliari.
Il logorante e distruttivo patto di silenzio di un figlio nei confronti del proprio padre, disoccupato e depresso.
La paura adolescenziale di tradire l’amicizia, anche quando si avverte l’odore del pericolo.
La marea nera e vischiosa del ricordo di violenze subite e mai rivelate; ferite che tornano a bruciare dopo anni per farsi bisogno di proteggere, promessa da mantenere.
Il vincolo di complicità verso l’altra metà di una coppia, anche quando si scopre che dietro le quinte c’è una palude melmosa di menzogne.
I protagonisti di questa storia si trovano tutti a un bivio. Restare fedeli oppure no?
La scrittura è fluida e lineare e il contenuto toccante, ricco di spunti di riflessione destinati soprattutto a chi il “mestiere di genitore” lo svolge ogni giorno. L’autrice dimostra una sensibilità rara e tenace; scava nel profondo delle relazioni generazionali, andando oltre alle apparenze, nelle pieghe dell’intimità in cui risiedono le ferite segrete, i sentimenti nascosti, le ombre oscure.
I personaggi hanno forza e verità, eppure proprio nel momento in cui si avverte la sensazione che la storia potrebbe davvero decollare, l’esiguo numero di pagine rimaste già fa prevedere un insoddisfacente e frettoloso epilogo. E quando arriva la fine, arriva anche la delusione; sicuramente questo lavoro avrebbe meritato un finale diverso e qualche pagina in più.
Un romanzo teso e doloroso, capace di toccare punte di grande intensità, ma che purtroppo lascia in bocca un retrogusto amarognolo di occasione sprecata.