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Una goccia di splendore
Quante volte si cerca in maniera disperata di fuggire dal dolore? Orah, una donna intensa, passionale e fedele solo all'amore, lo fa nella maniera puerile di una bambina, rifugiandosi in luoghi dove nulla può raggiungerla. Un racconto on the road, a piedi, con la sola compagnia dell'amico e amante reduce di una guerra che ne ha distrutto ogni forma di vita e di gioia. Ecco quindi la forza del racconto e della parola, ecco nella lunga marcia tra pietre, sassi e caprifogli, il rinascere di "una goccia di splendore" nonostante tutto. Qui la parola è tutto, per questo Grossman a volte sembra ridondante nelle sue 780 pagine, ma raccontare è l'unico modo che possiede Orah per far tornare in vita l'amico e scongiurare la morte di suo figlio Ofer, in guerra. Non c'è mai morte nel romanzo, solo vita, proprio come accade quando perdiamo qualcuno che amiamo e non facciamo altro che ricordarlo, in maniera disperata, per tenerlo in vita. Così, lentamente, Avram ritrova prima il suo corpo, spento dalla tortura e dalle sevizie subite, si riappropria di ogni muscolo, di ogni sensazione, un risveglio lento in cui il lettore viene coinvolto per ritrovare quell'adolescente intelligente, vivace, verboso, instancabile che è stato insieme a Ilan e Orah. Con il racconto di Ofer (il cerbiatto) si scongelano in Avram anche gli affetti rifiutati, goccia a goccia, passo passo, come il cammino. Il lavoro di Orah è elefantiaco, con sé stessa e con il mondo maschile che la circonda, quattro uomini che detestano la guerra eppure la venerano, uomini che lasciano sempre "la tavoletta alzata", quella fatica del suo essere donna tra loro, che svela in diversi momenti e in una mirabile pagina che racconta della ragazza di suo figlio:
"E dopotutto ancora non si sentiva pronta ad ammettere davanti a lui, pressoché un estraneo, fino a che punto si era sentita sbigottita, e anche un po' beffata, nel vedere come la giovane Talia avesse ottenuto senza sforzo ciò che lei non aveva mai cercato di pretendere dai suoi tre uomini, ciò a cui aveva rinunciato quasi in partenza: il pieno riconoscimento della sua femminilità, il suo diritto all'autodeterminazione in una casa con tre uomini, il fatto che l'essere donna non era soltanto una sorta di capriccio, frequente e un po' seccante, e nemmeno una protesta esasperante e patetica contro la cosa vera (l'essere uomini, cioè), come di tanto in tanto le davano a intendere. Accelerò il passo, mosse le labbra senza voce e avvertì un leggero mal di testa, come al liceo, quando si ritrovava davanti a un foglio costellato di equazioni. No, era incredibile ciò che Talia aveva fatto, Dio solo sa come, con movenze molto lievi della sua personalità. Orah sorrise tra sé, irritata. Persino il povero Nicotina, il cane, persino lui cambiava atteggiamento quando Talia era nei dintorni".
Così con questo romanzo, Grossman tiene in vita il suo figlio perduto in guerra e sé stesso.