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Vieni da me, stanotte?
"Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me.
In che senso?
Nel senso che siamo tutti e due soli. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare."
Colei che fa questa proposta (ad un uomo) è una donna di settant'anni, vedova, una donna che avverte improvvisamente tutto il peso "dell'urgenza", del tempo che sta per finire, dei programmi a breve scadenza.
Una donna che ha vissuto abbastanza, che ha conosciuto il dolore più grande in assoluto, ha sofferto, ha accettato (con dignità) il tiepido calore di un amore ormai spento, e finalmente si trova nella posizione di poter scegliere di non avere rimpianti, di infischiarsene dei pregiudizi e del perbenismo della gente, di chiedere sfacciatamente alla vita una cosa di cui sente di avere diritto: una piccola felicità.
Una voce dolce a cui raccontarsi la sera, una mano da stringere nel buio della notte...
Quanta dolcezza, tristezza, malinconia...e quanto coraggio.
Mica facile rimettersi in gioco quando la vita sembra già averti dato e tolto tutto, mica semplice combattere contro l'ottusità di chi, avendo ancora tanto futuro davanti, non capisce il linguaggio dell'urgenza, del "prima che sia troppo tardi".
Il finale è, per me, molto simbolico e significativo: quando sei certo di essere nel giusto, quando senti di dovere a te stesso quel che resta della felicità...alla fine un modo lo trovi.
E il freddo della notte fa di nuovo un piccolo passo indietro.
Haruf ti tocca piano, ma lascia il segno.
Anche stavolta.
(Ciao Holt, mi mancherai...)