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Credersi agnelli e scoprirsi lupi
Un polpettone di 650 pagine che si svolge nell’arco di 60 anni (da metà del ventesimo secolo ai giorni nostri) in tre diverse parti del globo (Stati Uniti, Germania Est, Bolivia).
Un groviglio di storie (ognuna delle quali discretamente interessante di per sé) per le quali inizialmente si è erroneamente indotti a pensare che le coincidenze siano un po’ troppe, ma un po’ alla volta scopri che non si tratta affatto di coincidenze e che niente è per caso.
Quattro personaggi centrali, nessuno dei quali è pienamente il protagonista (sono infatti quattro destini, quattro vite che si incrociano, si contaminano e corrompono reciprocamente).
Purity, ovvero dell’irrealizzabilità dell’ideale di purezza. Non basta ovviamente chiamarsi Purity, come la simpatica e squattrinata ragazza che dà il titolo al romanzo (più che una protagonista, un fil rouge che lega le diverse storie) e non basta essere un bravo e coscienzioso giornalista americano (i segreti, gli scheletri che pietosamente hai contribuito a nascondere, prima o poi torneranno a perseguitarti). Ovviamente per essere puri non è sufficiente allontanarsi dalla propria famiglia miliardaria e vivere in povertà, se il prezzo è affliggere il prossimo con le proprie nevrosi e ossessioni. E infine, la strada di chi vuole “rendere il mondo un posto migliore” è fin dall’inizio piena di insidie, perché il potere che ne deriva si rivela tossico per le menti disturbate che hanno bisogno di pensare di poter redimere il mondo.
Si parla molto di internet, dei suoi effetti invasivi sulle nostre vite, di quanto può essere pericolosa la concentrazione delle informazioni nelle mani di pochi, soprattutto se si realizza con mezzi illegali (i riferimenti ai casi Wikileaks e Snowden sono così insistenti che finiranno per annoiarvi) tanto che il romanzo alla sua uscita in Germania e Spagna nel 2015 venne presentato come un libro su internet, costringendo l’autore a smentire.
Ho letto un’intervista a Franzen nella quale dichiara che lui non scriverebbe mai un romanzo per formulare una critica sociale o promuovere le proprie idee, dunque è sbagliato cercarle nelle sue pagine.
Purity, al di là delle suggestioni e riflessioni che può innescare su tanti temi, è in effetti un romanzo di “puro” intrattenimento, scritto con grande abilità e mestiere, soprattutto nei dialoghi, e congegnato fin troppo bene, dove il “troppo” sta nelle diverse forzature che si rendono necessarie per sincronizzare tutti i meccanismi che reggono l’intreccio: alla fine ogni personaggio perde un po’ della propria credibilità, ma la storia complessivamente funziona.
Più di una volta ho avuto la tentazione di abbandonare la lettura: mi sembrava un libro così pieno di roba eppure così vuoto. L’ho letto subito dopo aver finito un romanzo denso e robusto come Pastorale Americana e tra le due opere c’è un abisso incolmabile: uno scivola come l’acqua, l’altro chiede di essere centellinato come un vino invecchiato. Capisco però che possa piacere, tanto quanto capisco che si possa essere astemi.
La parte che tutto sommato mi ha interessato di più è quella ambientata nella Germania comunista, prima del crollo del Muro. Milan Kundera ha descritto molto meglio l’osmosi che si crea tra anime candide e anime nere in quei regimi totalitari dove l’unica cosa davvero efficiente è la polizia segreta. Franzen si appoggia un po’ a questo clima per costruire il suo personaggio più tragico e interessante e conferire drammaticità al suo romanzo, che altrimenti si ridurrebbe alla rappresentazione di una sequela di nevrosi in una particolare e ben delimitata fetta della società contemporanea.
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