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Il diritto negato all'innocenza
La mia prima esperienza di lettura del Roth americano si è indirizzata a questo romanzo complesso, abbastanza faticoso ma piacevole da leggere. La struttura fitta e circolare dell’opera incentiva un secondo giro o almeno la rilettura di alcune parti, per rivedere i personaggi sotto una nuova luce e per riassaporare con maggiore consapevolezza i minuziosi dettagli e le numerose digressioni che inizialmente possono spazientire o rallentare il ritmo.
Introdotti dalla quarantacinquesima riunione degli ex allievi di un liceo (con l’inevitabile bilancio di vite finite, sprecate, realizzate ed elenchi di acciacchi, malattie, successi, fallimenti, vicissitudini, mogli, figli e nipoti) percorriamo cinquant’anni di storia americana, dagli anni quaranta agli anni novanta del ventesimo secolo in compagnia principalmente di Seymour Levov, un ebreo dai tratti somatici così poco corrispondenti alla sua origine da guadagnarsi il soprannome di “Svedese”.
Suo nonno “era arrivato a Newark dalla madrepatria dopo il 1890 e aveva trovato lavoro come scarnatore di pelli di montone…un ebreo solitario mescolato ai più rozzi immigrati slavi, irlandesi e italiani”. Il padre dello Svedese, Lou Levov, era “un padre per il quale ogni cosa è un incrollabile dovere, per il quale c’è la ragione e il torto e, in mezzo, nulla” ed era di quel tipo di uomini “limitati provvisti di un’energia illimitata…uomini per i quali la cosa più seria della vita è andare avanti malgrado tutto”.
Lui, lo Svedese, immigrato ebreo di terza generazione, in grado di eccellere in ogni disciplina sportiva, aveva “il talento di essere se stesso, la capacità di essere quella strana forza che t’inghiottiva e di avere, tuttavia, una voce e un sorriso non offuscato dal minimo barlume di superiorità: la naturale modestia di chi non conosceva ostacoli e sembrava non dover mai lottare per crearsi uno spazio tutto suo”.
Dopo i successi sportivi e una breve esperienza nei marines, Seymour sposa una Miss New Jersey, una cattolica irlandese la cui personalità non è inferiore alla sua bellezza, e dirige l’azienda di famiglia. Ci sono quindi tutti i presupposti per vivere un bellissimo “sogno americano”. Ma proprio qui si nasconde il dramma.
Il “sogno americano” è infatti un utile, tonificante e rinfrescante miraggio per chi vuole progredire, salire ancora di qualche piano sull’ascensore sociale, non fermarsi mai, combattere per farsi largo nella vita con la stessa durezza di cui furono capaci i padri e i nonni. Guai invece a fermarsi, a illudersi di essere arrivati, ad accontentarsi di una bella famiglia, un lavoro gratificante, una casa in pietra nella quiete bucolica della campagna. Dopo la cacciata dal paradiso terrestre, nessun uomo ha più diritto all’innocenza.
Levov lo Svedese, pur avendo tutte le caratteristiche di chi è predestinato al successo, di chi è kalòs kai agathòs, bello e moralmente retto, giusto, generoso, abile e valoroso, commette il peccato di ritenere di vivere nel migliore dei mondi possibili, come un novello Candide, o come Giovannino Semedimela, il personaggio di una favola che sparge i suoi semi nel bosco per far crescere gli alberi.
“Nessuno attraversa la vita senza restare segnato in qualche modo dal rimpianto, dal dolore, dalla confusione e dalla perdita. Anche a quelli che da piccoli hanno avuto tutto toccherà, prima o poi, la loro quota d’infelicità”. E infatti il destino colpisce lo Svedese nel momento in cui è più appagato dalla sua vita, mollemente adagiato sotto le fronde dei suoi possenti aceri, come il pastore Titiro delle bucoliche virgiliane.
Sono probabilmente la diagnosi di un cancro e soprattutto la morte del padre, spentosi serenamente a novantasei anni, a dare allo Svedese l’occasione per un bilancio e per un confronto tra esistenze e tempre completamente diverse. Prende contatti con uno scrittore affinché scriva della lunga e “bellissima vita” di Lou Levov. Ma è piuttosto di sé che vorrebbe parlare, non riuscendoci: “continuavo ad aspettare che dicesse qualcosa di più di queste ineccepibili banalità, ma tutte quelle che venivano a galla erano altre superficialità. Al posto dell’anima, pensavo, ha l’affabilità: quest’uomo la irradia da ogni poro. Per se stesso ha ideato un incognito, e l’incognito è diventato lui”.
Cosa gli è successo? Cosa ha inghiottito l’uomo, lasciandone unicamente la maschera? Cosa è andato storto nella sua vita?
Attorno ai Levov si muovono molti altri personaggi che nell’insieme forniscono un quadro interessante delle tensioni che attraversano la società americana, delle profonde differenze sociali, religiose, etniche e culturali e del disagio, del senso di inadeguatezza e del disperato bisogno di integrazione di chiunque non appartenga alla classe wasp, la classe di chi è lì da sempre.
La Festa del Ringraziamento, autentica pastorale americana, per sole ventiquattr’ore crea l’illusione di sopire le diffidenze reciproche e la voglia di rivalsa di ognuno.
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ho affrontato questa lettura forse sentendomi un po' in colpa dopo la scomparsa dell'autore, per non aver mai letto nulla di lui. In realtà da qualche parte nella mia libreria devo ancora avere una copia di Lamento di Portnoy, che avevo iniziato a leggere tantissimi anni fa, abbandonandolo dopo le prime pagine. L'impressione che mi fece fu così negativa che non ho più ripreso in mano un romanzo di Philip Roth fino alla sua morte. Non saprei fare un confronto, è passato troppo tempo e sono cambiato anch'io, ma probabilmente Pastorale Americana è davvero su un altro livello.
Un saluto
anch'io sono affezionatissimo a Joseph Roth, di cui ho letto tanto ed è nel Pantheon dei miei preferiti.
Philip Roth lo conosco ancora troppo poco, ma penso che si tratti di scrittore completamente diverso e un po' sento che non arriverò mai ad amarlo tanto quanto ho amato l'autore della Cripta dei Cappuccini.
Grazie del tuo contributo
un saluto
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Bella presentazione di un libro che anche a me è piaciuto molto. L'ho pure riletto. Devo dire che dei pochi testi letti dell'autore è l'unico che mi sia piaciuto. Penso quindi tu abbia fatto bene a partire da quello che quasi sicuramente è il suo capolavoro.