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Rapunzel, l'intreccio del convento
È possibile associare qualcosa di puro e struggente come l’amore alle diaboliche trame di Satana?
Secondo García Márquez, sì. Anzi, nessun sentimento meglio dell’amore rende l’uomo folle come fosse posseduto dal diavolo in persona.
La vicenda è ambientata in Colombia negli anni in cui imperava l’inquisizione spagnola, pronta a scagliarsi conto chicchessia anche solo per il possesso di un libro classificato come proibito.
Il romanzo si focalizza su più protagonisti, ma al centro della storia si colloca comunque la giovanissima Sierva María, figlia dodicenne di un nobile che, praticamente ignorata dai genitori, passa il suo tempo con i servi della casa arrivando a dormire tra loro e ad apprendere la loro misteriosa lingua.
A dare una decisa svolta nella vita della ragazzina è il morso di un cane affetto da rabbia; se in un primo momento Sierva María non mostra nessun sintomo della malattia, alcuni mesi dopo il padre inizia a preoccuparsi sia per il morso sia per i suoi comportamenti da selvaggia, tanto da rivolgersi al vescovo che ordinerà di rinchiuderla in un convento e sottoporla ad un esorcismo per scacciare il demonio che -evidentemente- la possiede.
Proprio con l’esorcista inviato dal monsignore, tale Cayetano Delaura, la ragazzina vedrà nascere una passione tanto profonda quanto casta, che per un po’ illude entrambi di aver trovato l’amore vero e vinto così la solitudine.
Avete capito bene: anche in questo romanzo García Márquez si rifugia nel suo tema preferito, tratteggiando personaggi tormentati dall’idea di rimanere soli ma che, alla fine dei conti, scelgono in modo istintivo la solitudine sia essa incarnata da una vita da eremita o dalla morte stessa.
Le somiglianze con il celebre “Cent’anni di solitudine” non si fermano qui, infatti entrambi i romanzi assegnano un ruolo molto importante alle tradizioni ed alle superstizioni collegate ai culti pagani; sul piano stilistico invece, è evidente come lo scrittore prediliga la narrazione di alcuni avvenimenti, specie se parte di flash-back, anziché illustrarli direttamente, e ricorra al suo famoso realismo magico per delineare l’ambientazione anche in questo romanzo, tanto da far credere al lettore che lo sfondo della storia sia ancora una volta Macondo.
Una differenza palese con “Cent’anni di solitudine” è invece la scelta di mettere in scena un numero ben più contenuto di personaggi, soffermandosi maggiormente sulla loro caratterizzazione e sui loro trascorsi; conseguenza di ciò è l’inserimento di molti flash-back (che in alcuni casi si riducono comunque a dei brevi aneddoti), non andando però a rallentare il ritmo della narrazione.
Tra i protagonisti, il più interessante è a mio avviso il medico Abrenuncio de Sa Pareira Cao, che da un lato ricorda il nostrano Don Abbondio per la sua predilezione per il “latinorum” (ma su Manzoni torneremo dopo), e dall’altro lo zingaro Melquíades con il quale condivide l’interesse per un tipo di medicina non proprio canonica. Intriganti anche le figure dei genitori di Sierva Mariá, soprattutto per la strana relazione che li lega e i loro trascorsi che vengono chiariti soltanto verso la fine della storia.
I personaggi secondari mi hanno dato invece l’idea di un’ottima occasione: molti sono introdotti in maniera interessante nella vicenda ma, come nel caso della bellissima schiava abissina, fanno giusto un paio di comparse.
Da segnalare anche il peculiare rapporto tra la famiglia del marchese ed i suoi servitori, che oscilla tra l’astio, la passione e la familiarità e, di nuovo, mi ha portato alla mente la famiglia dei Buendía.
L’introduzione di questo romanzo si merita una menzione a parte: ricorrendo ad uno stratagemma già adottato con successo da alcuni celebri colleghi del passato, come Manzoni (rieccolo!) ne “I promessi sposi” e Hawthorne ne “La lettera scarlatta”, García Márquez tenta di dare credito ed un fondo di realtà alla sua storia raccontando del ritrovamento di un cadavere di bambina dai lunghissimi capelli rossi.