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La perdita di tutto
(attenzione spoiler) C'è il 'prima' e il 'dopo' l'Impero Asburgico, visto attraverso le vicissitudini della vita del giovane Francesco Ferdinando Trotta. Il 'prima' è caratterizzato da un'apatia che è quasi una 'posa', una caratteristica dei giovani nobili, i quali passano le loro nottate viennesi tra gioco, donne e cameratismo. Trotta sente la mancanza di senso e ha coscienza di essere più vicino alla vita del popolo (da cui, per altro, proviene), incarnato nel cugino sloveno, venditore di caldarroste, e in un vetturino ebreo. Su questa gioventù la morte già incombe e al giovane pare di percepirla, così come, nonostante l'unità della patria, percepisce la diseguaglianza di etnie tanto diverse tra loro per religione e tradizioni. Il 'dopo' è pregno di un'altra apatia, quella che caratterizza la perdita di tutto, della ricchezza, della Patria, degli amici, della gioventù, dei 'bei tempi andati' ... Tutte cose che non saranno mai più uguali, in un futuro in cui niente è stabile e sicuro, e tutto è in fermento. Trotta perde la moglie: la perde la prima notte di nozze quando lui preferisce la compagnia di un vecchio servitore, la perde al ritorno dalla guerra quando la ritrova legata sentimentalmente a un'amica e la perde anche quando la riconquista perché Elisabeth vuole fare l'attrice e abbandona lui e il figlio; Trotta perde la madre amata e onorata, e rinuncia al figlio che affida a un amico, a Parigi; perde quel se stesso che, in fondo, non ha mai trovato. La linea di demarcazione è la prima guerra mondiale nella quale il protagonista combatte (rinunciando al prestigio del reggimento dei Dragoni e preferendo la fanteria dove sono arruolati il cugino e il vetturino ebreo a cui è legato), è fatto prigioniero dai russi e trascorre il periodo più sereno della sua vita, da fuggitivo, in Siberia, nell'umile casa di un intagliatore di pipe. Questo, forse, sarebbe potuto essere il suo destino se non fosse nato in una generazione destinata e segnata dalla morte. In chiusura vaga nella notte viennese e cerca rifugio nella Cripta dei Cappuccini dove sono sepolti gli imperatori, compreso Francesco Giuseppe, chiedendosi: 'Dove devo andare, ora, io, un Trotta?', quasi non fosse più nessuno. La scrittura è scorrevole e malinconica. Non ci sono picchi di eroismo, esaltazioni o eccessi, solo uno sguardo disilluso. Mi sono piaciuti molto i personaggi, quasi folcloristici.
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