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Breviario dell'arte simenoniana
L’uomo che guardava passare i treni rappresenta un punto di crescita cruciale nella narrativa di Simenon. Scritto nel 1938, fa da ponte tra la linea chiara dettata dall’”Assasino”, uno dei suoi romanzi più gelidi e distonici, e lo splendido “La casa dei Krull”, apparso nello stesso anno. Kees Popinga, l’esuberante ed esausto protagonista del libro, è il più classico degli eroi simenoniani, una velleità e poco più. Classico proprio perché il guscio caldo e protetto della sua vita borghese si sgretola appena oltrepassato il vetro dell’apparenza. Kees Popinga ha esorcizzato le forze centrifughe e antisociali della sua anima con il rituale grigio e perfetto della sua vita, ha contratto la potenza eversiva della sua natura nel cerchio asettico della normalità. Eppure Simenon sa che tanto più l’uomo è vicino ad un estremo, tanto più grave sarà la sua caduta nell’altro, perché se c’è qualcosa che colpisce nell’assoluta mediocrità di questi uomini, nella loro tiepidezza, è appunto l’assoluta sproporzione delle loro azioni.Qui però la parabola discendente, il destino inappellabile che trascina la trama fino a consumarne il respiro, si avvita in una spirale tragicomica e assurda, squisitamente parigina, in cui il reticolo gelido e particellare delle azioni dei personaggi, si avviluppa nei tralci dell’assurdo.??
È un romanzo chiaro, questo Simenon, un’arte disvelata e proprio per questo, se possibile, un poco noiosa. Chi frequenta le pagine dello scrittore, non può non notare come i primi capitoli siano una continua dichiarazione di intenti, una metanarrazione che affascina nel mostrare se stessa. È proprio nella tensione fra trasparenza e ostacolo, nelle pieghe dell’ombra e dell’interpretazione, che la l’autore sfida il lettore, e forse tutta la luce, tutte le spiegazioni, tutte le sparse didascalie lasciate da Simenon, corrodono il fascino del libro. Di contro, L’uomo che guardava passare i treni è un ottimo terreno di studio per penetrare i segreti di questa arte, il congegno preciso dell’intreccio, il ritmo inappellabile della fine, per entrare in sintonia con la scrittura distillata e via via più rarefatta che rende Simenon tanto affascinante. La fortuna di questo libro tra il pubblico, in parte dovuto forse alla precocità della sua stampa, risiede forse nel compromesso che esso trova tra la natura più pura di Simenon, che si farà strada nei suoi romanzi più neri e crudi, e il fascino consueto di una narrativa più aperta e distesa. Il finale, al solito lacerante e caustico, non sorprende chi è abituato alle sue pagine, ma certamente ha il merito di strappare, una volta ancora, il velo della rivolta e mostrare il corpo nudo e indifeso dell’anima umana.
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