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La città degli orsi
 
La città degli orsi 2018-08-06 17:34:36 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    06 Agosto, 2018
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La forza degli orsi

«Non si smette mai di avere paura di cadere dalla cima, perché chiudendo gli occhi si possono sempre percepire l’acido lattico e il dolore di ogni singolo passo fatto per arrivarci»

Bjornstad, la città degli orsi, “non è vicina a nulla, sembra un posto innaturale perfino sulla cartina”. Eppure è una città dove l’orso è sentito, dove la tenacia e la forza di volontà sono corollari essenziali che si sommano ad una serie di codici non scritti che sono propri di ogni cittadino. E Bjornstad, come ogni suo abitante, vive di e per l’Hockey. Tutta la sua esistenza, tutta la loro esistenza, ruota attorno a questo. Ecco perché tutti sono in fermento, ecco perché quella partita della squadra degli Juniores è vissuta come una battaglia personale di ciascun singolo individuo in funzione di una collettività più grande. Perché il club viene prima di tutto, prima dell’io, prima di qualsiasi cosa.

Bam-Bam-Bam-Bam-Bam.

Kevin, è il giocatore di punta del Bjornstad Hockey, ha diciassette anni e la sua famiglia è una delle più prestigiose del luogo. È stato notato anche dagli sponsor, il suo futuro sembra essere assicurato. Benji, è la sua ombra in campo e fuori nonché migliore amico a cui il campione non può mentire, Lyt, Bobo, Fillip, sono gli altri suoi compagni di squadra. Nessun tradimento è ammesso, loro sono i vincitori, coloro che potranno garantire un nuovo futuro di rivincita e rispetto per questa cittadina alla ricerca di un riscatto.
Attorno a questi ragazzi ruotano anche degli adulti tra cui Peter, il direttore sportivo, David e Sune due allenatori in contrasto, Mira, avvocato penalista e madre di Maya e Leo nonché moglie del direttore, Fatima, donna delle pulizie, e suo figlio Amat, giovane, veloce giocatore di Hockey che si ritroverà a far parte della squadra per le sue qualità, Zacharias, l’amico bullizzato dagli Juniores stessi e tutta un’altra serie di personalità sempre e comunque legate allo sport.

Bam-Bam-Bam-Bam-Bam.

Fuori da questo mondo fatto di puck, testosterone, bastoni e cameratismo, c’è la quindicenne Maya, che sogna di fare la cantante, che ama suonare e che è inseparabile dalla sua coetanea Ana. Ma ci sono anche i ragazzi stessi che osservano, scrutano, con le loro paure, le loro introspezioni, i loro segreti.

Bam-Bam-Bam-Bam-Bam.

Una notte come tante, ed è proprio un segreto a cambiare tutto. Che fare? Tacere? Non tacere? Parlare? Chi mi crederà? Se taccio soltanto io persona sola soffrirò per quel che è accaduto. Ma avrò la forza e il coraggio per farlo? Oppure la soluzione giusta è parlare, rivelare ogni lato più oscuro di quel buio che ora è diventato la mia ombra? Non può tacere, lo sa bene. E sa anche quali e quante conseguenze deriveranno dalla sua impossibilità di far finta che non sia mai accaduto proprio perché la sua anima ha sanguinato abbastanza.

Bam-Bam-Bam-Bam-Bam.

Le conseguenze. Una città pronta a schierarsi, una città che si è già schierata. Le conseguenze, ancora. Il dolore. L’isolamento. La verità. Sguardi che si incontrano, la paura. La ricerca di un “buio più grande” per contenere quello in cui si è caduti. Anime, persone, pensieri. Il giusto e lo sbagliato. Il bene e il male. Gli interessi in gioco. Cosa fare. Come continuare a guardarsi allo specchio. Come sopravvivere. Come tornare a vivere.

Bam-Bam-Bam-Bam-Bam.

Mi fermo qui sulla trama. Non svelo altro e spero che in futuro anche chi leggerà questo libro non lo faccia perché se così fosse ne verrebbe pregiudicata la morale e l’essenza del componimento stesso.
Se però avete già avuto modo di leggere alcuni scritti di Fredrik Backman sappiate che questo è molto diverso dai suoi precedenti lavori. Questo autore è noto per la sua grande capacità narrativa, diretta, chiara, immediata, ironica e avvalorata dalla tecnica compositiva più difficile in assoluto, ovvero quella dello “Show don’t tell” (“mostrare ma non raccontare”) e spesso è stato accusato di utilizzare un unico format stilistico tanto da far sì che i suoi elaborati “tendano ad assomigliarsi un po’ tutti”. Ecco, se deciderete di leggere questo volume, il primo elemento che noterete è che vi starete trovando di fronte ad un testo completamente rivoluzionato e diverso rispetto al passato.
Può darsi ancora che sarete scoraggiati dal continuare la lettura perché oggettivamente fino a pagina 100 si parla di Hockey, Hockey e ancora Hockey. Ecco, non fatelo, andate avanti. Perché solo proseguendo verrete messi a confronto con il lato più oscuro dell’animo umano. Assisterete ad un fatto che verrà giudicato, percepito, recepito in modo diverso da ogni voce narrante eppure, al tempo stesso, tutti non esisteranno a puntare il dito senza conoscere i fatti. Senza appurarli, semplicemente basandosi sulle apparenze. Non solo. Ci sarà chi si chiederà cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, chi tacerà nonostante “sappia”, chi tacerà “nonostante abbia visto”. E questo perché tanti sono gli interessi sul piatto della bilancia, tante sono le paure, tanta è la voglia di poter far finalmente parte di qualcosa.
Il lettore verrà così messo di fronte ai fatti. Si interrogherà, rifletterà, amerà i personaggi, li odierà. Ma sarà anche colto dal profondo senso di unione che uno sport può fare e resterà anche sorpreso da quelle stesse anime di cui sino alla fine ha diffidato per tutti i loro comportamenti.
Quella di Backman è una grande prova. Perché si è rimesso in gioco, si è innovato e ha osato, ma anche perché è riuscito a creare una perfetta istantanea di quella che è la società oggi, una società fatta di opportunismi, di apparenze, di futilità, di assenza di valori, ma anche di uomini e donne che hanno ancora un codice morale da rispettare e da far rispettare. Ed è riuscito anche a far provare un gran senso di appartenenza all’hockey a chi, come me, non segue nemmeno una partita di calcio. La passione per questo ti entra dentro e lascia il segno.
Un romanzo possente, forte, che suscita meditazione, che chiede di essere letto con pazienza e senza fretta, ma che non delude le aspettative.

«A volte si dice che il dolore è psicologico, mentre la mancanza è fisica. Il primo è una ferita, la seconda una parte del corpo amputata, il petalo di un fiore appassito in confronto a un tronco spezzato. Ciò che cresce molto vicino all’oggetto del suo amore finisce per condividerne le radici. Possiamo parlare della perdita, possiamo elaborarla e darle tempo, ma la biologia ci costringe ancora a vivere secondo determinate leggi: le piante divise a metà non guariscono, muoiono. […] La gente dice che è diventata matta, perché è così ce dice la gente che non sa cosa sia davvero la solitudine» p. 156

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Commenti

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Ho letto la tua recensione con curiosità e interesse. Bene, voglio leggerlo. Grazie
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Mian88
09 Agosto, 2018
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Grazie Natalizia. Non vedo l'ora di confrontarmi con te :)
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