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Essenza apparente
Inghilterra di inizio ‘900, a cavallo tra le due guerre, osserviamo attentamente la figura di Mr Stevens, una vita da maggiordomo trascorsa al servizio di Lord Darlington, gentiluomo inglese al centro della vita politica del paese, fino al cambio di proprietà ed all’ avvento di Mr Farraday, dai tratti moderni e sfacciatamente americani ma con la ferma volontà di conservare le tradizioni in atto.
È un tempo di attesa e di cambiamenti e per Mr Stevens, dopo molti anni di servizio devoto, il momento di una pausa attraverso un viaggio in macchina nella vastità del paesaggio inglese, la calma mista alla bellezza, una grandezza consapevole senza la necessità di essere proclamata a gran voce.
Un viaggio ed un racconto in prima persona che tocca una vita intera, focalizzandone i tratti salienti.
Mr Stevens ritorna al dovere che la propria professione comporta, un obbligo completamente indirizzato ad esaudire i desideri del proprio datore di lavoro con un’ etica professionale integerrima che scacci le proprie debolezze e qualsiasi sentimento.
Egli considera la finzione necessaria all’ espletamento del proprio lavoro, una sorta di missione, e quella maschera perennemente dipinta sul proprio volto si fa essenza caratterizzante ed espressione devota in opposizione a personalismi ed astrazioni cangianti.
Ed allora nasce un concetto di dignità che sia all’ altezza della posizione occupata ed una necessità di appartenenza al ruolo che si ricopre fino a quando si è completamente soli.
Di certo quella del maggiordomo non è una professione per tutti, implica una completa dedizione ed identificazione a costo di abbandonare sfera privata e personalismi, è tracimata a tal punto nella propria quotidianità che le competenze travalicano ogni possibile essenza.
E poi c’è la percezione che gli altri hanno di lui, qualcuno si domanda perché debba sempre fingere ma c’ è anche chi, nei comportamenti e nei modi, lo scambia per un vero signore, oltre il taglio degli abiti ed il suo modo di vestire elegante perché è qualche altra cosa del tutto evidente a renderlo una persona diversa.
In sostanza il concetto di dignità per Mr Stevens consiste nel non togliersi i panni di dosso in pubblico fino a quando non rimane solo con la propria sfera più intima.
Ed allora come affrontare il privato quando si è chiamati a mostrare le proprie debolezze, sballottati tra sentimenti e sofferenze improvvise a cui la vita inesorabilmente ci porta?
Un dubbio resta sovrano, una incertezza nata e cresciuta nel tempo, in quegli anni vissuti al fianco di Mrs Thompson, collaboratrice fidata e devota, ma anche forte presenza che richiama Mr Stevens ad una resa dei conti, in primis verso se stesso e ad un’ idea trascinata per anni alla fine scacciata dalla evidenza.
In questo romanzo dalla lentezza evidente, dalle riflessioni protratte, dalla forma perfetta, in cui il lungo monologo di Mr Stevens abbraccia stile e contenuti, finiamo con il chiederci la differenza tra forma e sostanza, professione e vita, etica e sentimenti, senza una risposta evidente per il protagonista, imprigionato nella propria essenza apparente.
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Nella parte conclusiva, mi è sembrata molto più in crisi la protagonista femminile. Lui distilla perfino qualche perla di saggezza, quando la consola dicendole che nessuna vita è perfetta.
Molto bello il finale, con l'invito a gustare la dolcezza di 'quel che resta del giorno' : il metaforico tramonto.