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Voce alle donne (di ogni colore)
Molte volte ho sentito dire, riguardo ad un libro “mattone”, quanto fosse scorrevole e veloce la lettura, tanto era ben scritto. E se all’apparenza annuivo, convinta e partecipe, in cuor mio pensavo che mi stavano prendendo in giro.
“The Help” è stata la prova definitiva che ero io ad essere in errore; ora, non vorrei essere fraintesa: per leggere un libro con più di 500 pagine ci vogliono tempo e concentrazione, e ritengo generalmente sbagliato macinare pagine su pagine con foga, neanche si trattasse di una commissione da sbrigare al prima possibile. È però innegabile che quando un lettore si trova di fronte ad una storia così coinvolgente e ad un’autrice dallo stile impeccabile sarà un grande sforzo posare quel libro e dedicarsi ad altro.
Questo è quando ho personalmente vissuto durante la lettura di “The Help”, perché all’inizio la mole, la fama e il tema mi mettevano parecchio in soggezione, ma una volta conosciuti i personaggi non li volevo più lasciare, tanto da pensare a loro e al proseguo della storia anche mentre facevo altro.
La storia presenta una trama all’apparenza basilare, ma arricchita da ottime svolte narrative. Nella Jackson, Mississippi, dei primi anni ’60 la condizione delle persone di colore è molto difficile, ma un gruppo di domestiche al servizio delle più ricche famiglie bianche della città trova il coraggio di raccontare le sofferenze, come pure le gioie, che costellano le loro giornate lavorative.
Nasce così l’idea di trasformare le interviste a queste donne in un libro, e questo romanzo è la storia della sua difficile pubblicazione, nonché del suo insperato successo.
Come già accennato, il testo si presenta davvero scorrevole perché privo di “punti morti” o di parti superflue. La narrazione viene inoltre sovente alleggerita (e nel contempo, arricchita) da diversi momenti divertenti, quasi comici.
La narrazione segue tre POV diversi di altrettante protagoniste: la dolce Aibileen, che si occupa dei figli dei suoi datori di lavoro come fossero bambini suoi e cerca sempre di vedere il meglio in tutti, perfino nella perfida miss Hilly, ma si dimostra anche coraggiosa e risoluta all’occasione; Milly è un’eccellente cuoca con qualche problema a tenere per se le proprie opinioni, che mostrerà di avere un grande cuore e la capacità di mettere i figli e gli amici prima di se stessa; ed infine, Skeeter, l’aspirante giornalista che per prima propone di trascrivere le esperienze delle domestiche di colore, proprio perché alla ricerca della verità su quella che l’ha cresciuta.
A circondare le tre protagoniste è presente un ricco gruppo di personaggi, soprattutto padrone e domestiche, mentre ai personaggi maschili è riservato ben poco spazio. Come tutti risultano sfaccettati e ben strutturati.
Per quanto riguarda le protagoniste, tutte e tre presentano una grande evoluzione nel corso del romanzo; sebbene questo cambiamento sembri riguardare inizialmente solo Skeeter, che vede cadere ben presto il velo dell’illusione, la pubblicazione delle interviste farà maturare decisioni molto importanti anche per le due domestiche.
La Stockett varia abilmente sia il lessico sia lo stile per adattarsi ai diversi POV, così da rendere più realistica la narrazione, Per mantenere la fedeltà all’ambientazione scelta, l’autrice si ritaglia sovente dei piccoli spazi per far luce sulle invenzioni e i maggiori avvenimenti agli inizi degli anni ’60.
Le uniche note un po’ stonate, in un romanzo altrimenti impeccabile, sono il lato romantico inserito forzatamente nella storyline già molto ricca di Skeeter; trovo che l’autrice abbia un po’ esagerato anche con i riferimenti al tema del razzismo, che ogni tanto sembrano essere OOC.
Bisogna però ammirare come la Stockett abbia optato per un finale abbastanza lieto, senza però cadere nella facile tentazione del fan-service, mantenendo così il realismo che contraddistingue l’intero romanzo.