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L'animo umano e la sua solitudine
«Il risveglio comincia con due parole, sono e ora. Poi ciò che si è svegliato resta disteso un momento a fissare il soffitto, e se stesso, fino a riconoscere Io, e a dedurne “Io sono ora”. Qui viene dopo, ed è almeno in negativo, rassicurante; poiché stamattina è qui che si aspettava di essere; come dire, a casa. Ma ora non è semplicemente ora. Ora è anche un freddo promemoria; un’intera giornata più di ieri, un anno più dell’anno scorso. Ogni ora ha un’etichetta con una data che rende obsoleti tutti gli ora passati, finché prima o poi, forse – no, non forse, di sicuro – succederà. »
George ha cinquantotto anni, è professore universitario e vive nella solitudine più completa.
Da quando Jim, il compagno, è venuto tragicamente a mancare, non restano altro che la riflessione e la malinconia nella sua vita. Si guarda, si scruta, non si riconosce. Non vede altro che un viso invecchiato e imbruttito, delle guance cascanti, un collo raggrinzito e con la forza della quotidianità e dell’asservimento, ogni mattina, inesorabilmente, indossa la sua maschera e si accinge a vivere quella che è la sua esistenza sino all’inevitabile fine. A questa prima visione interna, si contrappone una seconda visione esterna nella quale al corpo vengono dati ordini, alla bocca viene indicato di parlare, ai piedi di camminare e via dicendo.
Un viaggio introspettivo e retrospettivo che si svolge interamente nell’arco di 24 ore e che si dipana per quella che è una quotidianità fatta di maschere e di perbenismo. Perché il volto celato prevale su quello reale, perché la bautta detta le sue regole inesorabilmente. Il perbenismo e l’egoismo prevalente in quella lotta per il non restare solo, il non essere completamente abbandonato a se stesso.
Al tutto si contrappone la sua posizione: perché George osserva, critica e se necessario brontola, ma al contempo è anche un docente che rappresenta la speranza, l’ispirazione e la creta su cui i suoi studenti devono lavorare per modellare il loro essere. A ciò si somma ancora il mixarsi di una personalità consapevole della sua età ma che ancora si sente viva e che desidera lasciarsi andare all’impulsività del momento e della spensieratezza.
Un elaborato, “Un uomo solo” caratterizzato da istantanee che si alternano tra presente e passato, da riflessioni che cozzano con i desideri, con i sentimenti che sono placati forzatamente, con l’accettarsi e il farsi accettare anche a costo di sacrificare la propria indole e con quelle azioni che portano ad un inevitabile declino.
Perché George è un uomo solo, un uomo che vive al confine, un uomo che vive di ricordi e di malinconia ma anche di speranze e di quella sospensione che solo la speranza offre.
Ed è mediante una penna fluente, precisa, erudita, ricca, pregiata che il viaggio si compone. Ed è un viaggio che non si può rischiare di perdere per stile e per contenuto. Il linguaggio, in particolare, di Isherwood tocca l’animo del lettore sin dalle prime battute e se anche nella parte centrale l’opera tende leggermente a rallentare, il conoscitore non può fare a meno di interrompere lo scoprire perché non può sottrarsi al sapere.
«Ma perché devono esserlo? Perché il dialogo è per sua natura impersonale. È un incontro simbolico. Non coinvolge direttamente le parti. Il che spiega perché in un dialogo, si può dire qualunque cosa. Anche la confidenza più intima, il segreto più bruciante, suonano come semplici metafore o illustrazioni di un principio, che non possono essere usate contro di noi.»
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