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Il dottor Zivago
 
Il dottor Zivago 2018-04-23 09:40:46 kafka62
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
kafka62 Opinione inserita da kafka62    23 Aprile, 2018
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L'AMORE AL TEMPO DELLA RIVOLUZIONE

Se si volesse stabilire qual è l’ascendente letterario più diretto del “Dottor Zivago” di Pasternak ci si imbatterebbe in una impresa non semplice. In primis, è fin troppo scontato trovare analogie con i grandi romanzi tolstojani, soprattutto con “Guerra e pace”, vuoi per il comune carattere di romanzi storici (là l’invasione napoleonica, qua la rivoluzione russa), vuoi per il tipo di narrazione ad ampio respiro, che attraversa come un fiume maestoso interi lustri e generazioni, vuoi ancora per il modo di tratteggiare i personaggi, ricchi di sfumature psicologiche eppure inequivocabilmente destinati a diventare figure archetipiche. Ciononostante l’equivoco non reggerebbe a lungo. Pasternak, lungi dall’essere un epigono di Tolstoj, ha uno stile, un modo di rapportarsi ai suoi protagonisti e soprattutto una concezione della Storia molto diversi. Per quanto riguarda quest’ultima, ad esempio, Zivago stesso rileva come la Storia non è diretta solamente da forze e disegni che trascendono l’uomo e lo riducono (vedi Napoleone e Kutuzov) al ruolo di mera marionetta del destino, ma, similmente ai mutamenti della natura, essa è in perenne, inavvertibile trasformazione, alla quale partecipa con il suo insostituibile contributo l’umanità intera, anche la più infima, e anzi solo personaggi mediocri e perniciosi ne forzano improvvidamente il corso ineluttabile e regolare facendo deviare gli eventi verso repentine trasformazioni e rivolgimenti come le guerre o le rivoluzioni.
Per ciò che concerne lo stile, invece, Pasternak è molto meno regolare, classico, di Tolstoj. Non è tanto un problema di sintassi, quanto di equilibrio interno dell’opera: la stessa suddivisione del libro in capitoletti brevi consente una prosa più spezzettata, ellittica (vedi il modo in cui il lettore scopre, a cose ormai fatte, che Lara è diventata l’amante di Komarovskij), ricca di diversioni narrative (tutta la parte intitolata “La grande strada” lascia ad esempio in disparte i protagonisti per dedicarsi a figure minori, destinate a scomparire presto, eppure degne per lo scrittore di un interesse per così dire manzoniano), che non sarebbe improprio definire impressionista. Il ritmo del romanzo non è affatto monocorde: a volte si concentra per lunghe pagine su singoli episodi, altre volte scivola come se niente fosse attraverso interi anni, in alcuni casi prevale la terza persona del narratore, in altri (le pagine del diario di Zivago) prende direttamente la parola il protagonista, in altri casi ancora sono i dialoghi a dominare. Le numerose parti dialogate del “Dottor Zivago”, che spesso costituiscono dei veri e propri momenti di sospensione della trama introducendo dei temi apparentemente incongrui come l’arte, la filosofia o la politica, gli conferiscono un carattere inconfondibilmente ideologico, che ricordano le appassionate conversazioni presenti nei capolavori di un altro grande scrittore russo, Fedor Dostojevskij.
Né Tolstoj, come si è visto, né Dostojevskij sono comunque i modelli cui fare riferimento per interpretare in maniera corretta Pasternak. A distinguerlo dai due sommi maestri, e ad apparentarlo invece ad altri autori dell’800 come Cechov e soprattutto Puskin, è una caratteristica che non mi sembra sia stata finora messa sufficientemente in evidenza dai critici, fuorviati dall’aspetto peculiarmente politico del romanzo: intendo riferirmi alla descrizione appassionata della natura (e più ancora del suo effetto sugli esseri umani e sulle loro azioni) che contrappunta tutta la storia di Lara e Zivago. E’ possibile riscontrare questa caratteristica fin dalle prime pagine del romanzo: dalla tormenta di neve di pag. 8 (“dal cielo, sdipanandosi giro su giro da matasse senza fine, un bianco ordito cadeva sulla terra avvolgendola in un sudario. Non era rimasta che la tormenta al mondo, sola e incontrastata”), cui assiste il piccolo orfano Jurij, al disgelo di pag. 39 (“Il tempo migliorava faticosamente. ‘Tac, tac, tac’, insistevano le gocce sulla lamiera delle grondaie e dei cornicioni. Ogni tetto batteva messaggi al tetto accanto come in primavera”), che accompagna la disperazione di Lara al rientro a casa la notte in cui ha perso la verginità; dal gelo di pag. 64 (“Il freddo gelava. Un ghiaccio nero, erto come fondi di bottiglie di birra, ricopriva le strade. Faceva male respirare. L’aria densa di brina grigiastra pizzicava”), la sera in cui Lara tenta di uccidere Komarovskij con la rivoltella, alla notte di luna piena di pag. 114 (“La notte illuminata dalla luna era stupefacente come la misericordia o come il dono della chiaroveggenza”); dalla natura respirata in treno da Jurij a pag. 126 (“Per tutto il tragitto fu sempre la stessa cosa. Dappertutto folla che rumoreggiava, dappertutto tigli che fiorivano. L’incessante alitare di quel profumo sembrava precedere il treno in corsa verso il nord, come una voce di popolo che volava sui caselli, sulle stazioni spopolate”) alle innumerevoli altre pagine (come l’arrivo della primavera durante il viaggio di Jurij e della sua famiglia alla volta degli Urali) in cui non si sa se è più la natura a influenzare l’animo dei protagonisti o è invece l’acuta sensibilità di questi ultimi a sentire la natura in quel modo. “C’era come una segreta corrispondenza fra il mondo morale e il mondo fisico”, afferma Pasternak, e perfino, aggiungo io, tra i colori della natura e i colori del mondo. E alla fine, più che la storia d’amore tra Lara e Jurij, a rimanere impresso nel lettore è soprattutto il monotono eppur lirico avvicendarsi delle stagioni, in quello sterminato, generoso e sovrabbondante paesaggio russo che si riverbera magicamente in mille sfumature sempre diverse, implacabile, spesso ostile, ma capace di ammaliare chiunque.
Resta da dire di ciò che ha determinato la fortuna del romanzo e che ha aperto a Pasternak la strada del premio Nobel. La storia di Zivago, uomo idealista e sognatore, si sviluppa parallelamente a quella della rivoluzione russa, dai moti del 1905 fino allo stalinismo, e non è difficile scorgere nelle sventure e nelle omeriche peregrinazioni del protagonista, il quale all’inizio, come molti, aderisce istintivamente alle istanze rivoluzionarie come un’occasione di giustizia umanitaria ma in seguito rimane deluso dagli esiti nefandi del bolscevismo fino ad essere visto con sospetto dalle autorità al potere, un riflesso individuale di quella che è stata una delle più immani tragedie collettive del secolo scorso. L’abnegazione totale e incondizionata con cui egli dedica le sue energie migliori all’arte e all’amore diventa così, di fronte alla resa opportunistica e vigliacca di gran parte della società del tempo, l’unico grido di protesta possibile nei confronti di un sistema prevaricatore e illiberale, che come un famelico Moloch esige sull’altare del materialismo più ottuso la rinuncia ad ogni autonoma volontà del singolo e il sacrificio delle istanze spirituali dell’uomo.
La scelta di mettere in primo piano la semplice e romantica storia d’amore tra Lara e Zivago per raccontare in forma di epopea la tragedia di una generazione non è però scevra di rischi. A lungo, soprattutto nella prima parte del romanzo (quella, tanto per essere più precisi, che culmina nel soggiorno di Meljuzeev), aleggia uno spirito non troppo dissimile a quello di un “drammone” tipo “Via col vento”, e non è un caso che il film di David Lean che contribuì negli anni ‘60 a fare la fortuna del romanzo ne abbia privilegiato le componenti più melense e melodrammatiche. C’è poi una certa meccanicità da racconto d’appendice nel modo in cui avvengono incontri, agnizioni e snodi narrativi, così come un che di forzato si ritrova nei personaggi secondari, i quali ci vengono tutti presentati con dovizia di particolari all’inizio del romanzo e che ritroviamo poi invariabilmente in ruoli chiave, non solo della vicenda ma persino della Storia (per giunta, come l’Antipov-Strelnikov marito di Lara, con un ardito coup de theatre degno di un Dumas), enfatizzando così oltre ogni ragionevole misura il loro ruolo simbolico (si veda a questo proposito il misterioso fratellastro di Zivago Evgraf il quale, apparendo nei momenti più critici della storia a tirare fuori dai guai il protagonista, diventa un chiaro emblema della provvidenza divina). Al di là di questi ovvi limiti, “Il dottor Zivago” è capace di raccontare un periodo cruciale della storia del XX secolo senza pregiudizi politici e semplificazioni ideologiche e, soprattutto, con una immediatezza emotiva che ci era finora sconosciuta, scoprendo il velo a un orrore così profondo e diffuso da assumere un’intensità a tratti quasi irrapresentabile.

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Commenti

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Un piacere leggere le tue acute e approfondite analisi. Bravo!
Splendida recensione- Però non rileggerò questo libro: mi piace ricordare l'antica lettura , nella quale trovai comunque alcune mende da te ora elegantemente rilevate. Temo, per esperienza, di trovare qualche ruga di troppo in queste pagine
In risposta ad un precedente commento
kafka62
24 Aprile, 2018
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Sono onorato del tuo apprezzamento. Grazie, Laura.
In risposta ad un precedente commento
kafka62
24 Aprile, 2018
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Grazie Matelda. "Il dottor Zivago" non è un libro perfetto, ma è comunque un libro importante. Sono comunque d'accordo con te: una volta nella vita può bastare.
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