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Fifa blu ovvero la vita davanti a sè
“Mi sono fermato davanti a un cinema, ma era un film vietato ai minori. C’è perfino da ridere quando si pensa alle cose che sono vietate ai minori e a tutte le altre a cui hanno diritto”.
Ha da poco scoperto, Momò, il protagonista e disincantata voce narrante di questa storia, di avere quattordici anni, non dieci e di essere dunque, di colpo, invecchiato di quattro. È tutto tranne che un bambino o un minore. È un piccolo essere vivente che gode di molti diritti: quello di non avere una vera famiglia di riferimento o di essere immerso in una quotidianità indecente, o ancora di essere esposto al vissuto degli adulti presso i quali vive, ai margini del buoncostume o meglio dentro la peggior indecenza possibile. È tra i piccoli ospiti, talvolta assai numerosi, gestiti da un’anziana meretrice che li tiene in custodia a pagamento per conto delle madri impegnate nel mestiere. È arabo ed è allevato come loro da Madame Rose che invece è ebrea, scampata allo sterminio e ancora atterrita dalla famosa retata del velodromo.
È il più grande degli ospiti e quello al quale Madame Rose si è più affezionata, rimane l’unico quando le sue condizioni di salute precipitano in seguito al suo naturale processo di invecchiamento. Eppure non sarà mai solo, Belleville, il quartiere parigino nella periferia orientale della città, popoloso e multietnico, riporta nel mondo occidentale ciò che non c’è più: la rete di solidarietà del vicinato che sente, vive e condivide la sofferenza altrui. Spesso Momò lascia il suo mondo e si affaccia nei quartieri alti, dimenticando quel triste sesto piano del suo palazzo e tutta l’umanità che vi gravita attorno, ai limiti del buoncostume, ma dentro il sentire umano, quello che concede solo amore.
È dunque circondato da tanta umanità, tanto amore, oltre le leggi della natura, oltre le leggi del vivere civile, oltre le costrizioni e le regole in un mondo che le sue incursioni nella Parigi bene rivelano appunto sproporzionato nella distribuzione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. Tramite Momò, disincantato e consapevole osservatore, conosciamo il pensiero dell’autore teso a far percepire con le sue opere questo inaccettabile dolore della vita, incapace di far godere a tutti un po’ di felicità. Molti dei pensieri toccano tematiche che sono tuttora di grande attualità quali il diritto all’eutanasia, l’aborto, la vecchiaia e la solitudine per citarne solo alcuni, temi che fanno apprezzare la modernità di questo romanzo con il quale R. Gary ricevette, all’ombra della sua decadenza, il secondo impossibile Premio Goncourt nel 1975, usando lo pseudonimo di Émile Ajar. Solo con la pubblicazione postuma di Vie et mort d’Emile Ajar si seppe con certezza quanto in tanti, negli ambienti editoriali, avevano da tempo comunque sospettato.
Primo approccio con l’autore che mi incuriosisce molto e per la vicenda biografica e per la produzione, romanzo scorrevole e originale nello stile, perfetto calco del vissuto rappresentato, a tratti amaro e disturbante, capace comunque di regalare una singolare storia d’amore filiale nutrendosi di una giusta e sentita ispirazione al sociale.
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Libro che ora m'incuriosisce parecchio, grazie! :)
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