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Alta fedeltà
 
Alta fedeltà 2018-04-08 08:44:56 kafka62
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
4.0
kafka62 Opinione inserita da kafka62    08 Aprile, 2018
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AMORE E CANZONI

”Single è bello”, leggo, passando davanti a un’edicola, sulla locandina di una delle tante riviste trendy. Beh, a giudicare dalle vicende esistenziali di Rob Fleming, narrate in prima persona in “Alta fedeltà”, non si direbbe proprio. Autore di questo brillante, impudico e autoironico diario-manuale di istruzioni per scapoli impenitenti è Nick Hornby, il quale, se non altro per ragioni anagrafiche, può essere considerato l’alter ego del protagonista. Cinico e impietoso verso il proprio sesso, egli adotta in questo agile libretto il metodo dell’autoanalisi, per mezzo della quale, facendo muovere il suo novello Zeno attraverso esperienze al limite del grottesco o del ridicolo, riesce a comporre un abile ritratto generazionale. Hornby strizza spesso l’occhio ai suoi lettori, dandogli spesso del voi (“Ma prima di esprimere un giudizio, benché sia probabile che ne abbiate già formulato uno, provate a scrivere le quattro cose peggiori che avete fatto voi al vostro partner, anche se – specie se – il vostro partner non ne sa niente. Non indorate la pillola, non cercate di spiegarle; scrivetele punto e basta, stendete la classifica, con le parole più semplici possibile. Fatto? Ok, allora adesso lo stronzo chi è?”), sta sempre attento a rimanere in sintonia con il pubblico presumibilmente composto da trenta-quarantenni, eppure nonostante lo stile sia leggero e disinvolto, non per questo risulta meno profondo, anzi qua e là sparge con noncuranza autentiche perle psicologiche (“la débâcle con Charlie mi insegnò una cosa: devi incrociare i guantoni solo con gente del tuo stesso peso”; “Ero poco realista, chiaro. Sempre si corre il rischio di perdere qualunque persona meriti il nostro tempo, a meno di non essere così paranoici da scegliere qualcuno che non potremo mai perdere, qualcuno che non attirerà mai nessun altro”). Soprattutto, pur concedendo al protagonista una benevola indulgenza, Hornby è molto critico nei confronti della generazione dei suoi coetanei, quegli adulti mai veramente cresciuti (alla morte del padre, Laura confessa: “è la cosa più da adulti che mi sia capitata finora”) e bloccati da un paralizzante complesso di Peter Pan, nonostante le smanie di indipendenza e di autorealizzazione.
Lasciarsi aperte tutte le possibilità e non assumersi responsabilità di alcun genere è la vera filosofia di Rob, il quale arriva persino a pensare che è molto meglio rimanere da soli che correre il rischio di dovere un giorno veder morire la propria compagna. Rob è la quintessenza dell’edonismo e dell’egocentrismo contemporanei, in cui ciascuno crea un proprio mondo artificiale e asettico (simboleggiato dalla passione smisurata per la musica pop), al riparo (ma solo illusoriamente!) dai dolori della vita. Egli soffre sì per essere stato lasciato da Laura (o forse solo perché lei si è messa con un altro), ma non esita ad andare a letto con la prima ragazza che incontra, e, tra continue vigliaccherie, inibizioni e ipocrisie (solo temperate, ma non giustificate, dalla sincerità della confessione), l’unico atto morale che compie nel corso del romanzo è il rifiutarsi di comprare sottocosto una preziosa collezione di dischi che una donna vuole vendere per vendicarsi del marito che l'ha piantata. Il finale del libro, punteggiato da un'ossessiva compilazione di classifiche di tutti i generi (dai cinque migliori dischi sulla morte alle cinque più grandi delusioni amorose), è all’insegna dell’ottimismo, ma l’happy end (che assomiglia tanto a un regressivo ritorno all’adolescenza, con la festa organizzata al “Groucho Club” in cui Rob torna dopo tanti anni a fare il disk jockey con gli amici di oggi e di allora) non può ingannare: se il protagonista torna a vivere con la sua vecchia compagna non è per maturità o consapevolezza o perché ha imparato sulla sua pelle una dura lezione di vita, ma probabilmente solo per stanchezza e per pigrizia.

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