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Divorzio a Buda
 
Divorzio a Buda 2018-04-04 21:13:43 Vincenzo1972
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    04 Aprile, 2018
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La notte ha un solo giudice, la coscienza.

"La notte ha un solo giudice, la coscienza."

Quanto è vera questa affermazione: ciascuno di noi, immagino, avrà sperimentato il peso di quello sguardo inquisitorio nel buio della notte, uno sguardo che non è possibile evitare, inutile cercare vie di fuga da quegli occhi che già conoscono la verità, che hanno già emesso una sentenza.
Anche Kristof Komives è un giudice, ma un giudice di giorno, tra l'altro discendente di una famiglia che da tempo immemore conta tra i suoi membri i più illustri rappresentanti del mondo forense ungherese.
E i Komives, forti della loro rettitudine morale, esente da dubbi ed incertezze, mai vacillante perchè continuamente illuminata e guidata dalla rigida imparzialità della Giustizia, si sono mostrati sempre degni di quella reverenza mista a devozione riservata solo ai «grandi giudici»: "coloro che da un lato sono in grado di leggere in fondo al cuore degli uomini, e dall’altro sono l’incarnazione della Legge; tanto temibili quanto rassicuranti per la società assetata di giustizia".
Tale era la reputazione di Kristof Komives, del giudice Kristof Komives.
Ma tra il giudice e l'uomo si forma una crepa, minuscola, appena percettibile, se non fosse per alcune ripercussioni anche a livello fisico, episodi sempre più frequenti di debolezza e sensazione di svenimento.
S'insinua un dubbio che progressivamente lacera la coriacea corazza di Kristof fatta di certezze e princìpi irremovibili: è come se qualcuno gli avesse tolto il paraocchi e il suo sguardo, prima monodirezionale, si allargasse ora ad una nuova prospettiva determinando in lui uno stato di disorientamento e di turbamento.
E' come se qualcuno avesse sollevato un velo che copriva cose e persone mostrandole così per quello che erano veramente: persino la sua famiglia, quelle persone che conosceva da sempre, gli appaiono ora in una luce diversa.
Il padre, ad esempio, considerato da tutti uomo autorevole e di grande carisma: non era forse segno di debolezza più che di 'virilità' l'orgogliosa rassegnazione in cui soffocava silenziosamente il dolore e la rabbia per essere stato abbandonato dalla donna che amava, scappata via da lui in un modo contrario alla norma, 'rinnegando con la sua ribellione ogni costume, ogni legge, ogni decenza, tutto ciò su cui si basavano le convinzioni morali della famiglia K?mives.'
E la sorella, Emma, che aveva sempre sopportato con pacata sottomissione tutto ciò che il padre e la vita le avevano imposto, dall'adolescenza trascorsa nel cupo grigiore di una scuola religiosa sino al matrimonio con un uomo non desiderato, cosa nasconde realmente dietro la parvenza di moglie fedele e madre premurosa? Emma ha sempre dato 'a tutti quel che si aspettavano da lei, a Dio, alla famiglia, al padre, al marito, ai figli', non ha mai tradito le aspettative di nessuno se non quelle della sua anima, del suo corpo ed ora lei è come se fosse morta dentro, appare spenta agli occhi di Kristof, chiusa ed impenetrabile, tanto che vorrebbe scuoterla, destarla, 'gli piacerebbe sfiorare la mano o la spalla della sorella, avvertirla, incitarla: «Ti prego, parla, per una volta di’ qualcosa su di te, sulla tua vita...».'

E non solo le persone a lui più vicine ma l'intera società stava cambiando, e non certo in meglio; sacri ideali come la patria e la famiglia avevano perso il proprio valore, non animavano più lo spirito dei giovani ma rimanevano per lo più nostalgici ricordi in chi come Kristof su quegli ideali aveva eretto la sua vita.
"Erano tutti «nervosi» al giorno d’oggi: e K?mives disprezzava la nevrastenia, la riteneva quasi immorale... quella scusa, quella facile giustificazione grazie alla quale si eludeva ormai con sconsideratezza e superficialità ogni complessa e seria responsabilità."
Lo sfascio della patria si riverberava anche nelle sua fondamenta, nel nucleo di una nazione, ossia la famiglia: molte coppie si disgregavano con tale naturalezza e facilità come se la loro unione fosse solo una formalità, una convenzione e non un vincolo eterno peraltro suggellato dinanzi a Dio col sacramento del matrimonio.
Per questo motivo diventava sempre più pesante il fardello che incombeva sulla sua coscienza di giudice divorzista: chi era lui per dividere con una sua sentenza quello che solo Dio poteva unire e dividere, chi era lui per profanare la volontà divina?
"Per lui il matrimonio non era un’istituzione perfetta o imperfetta, il matrimonio era la convenzione morale che conferiva una cornice divina alla convivenza di due esseri di sesso diverso, alla famiglia."

Poteva realmente ritenersi degno di tale incarico? Le sue decisioni sarebbero state sempre imparziali ed obiettive?
Un senso di inadeguatezza che si acuisce quando sulla sua scrivania compare la pratica di divorzio del dottor Imre Greiner e della signora Anna Fazekas, lui conosciuto ai tempi degli studi universitari e lei, per puro caso, mentre passeggiava sul molo con una sua amica.
E quando il dottor Greiner, inaspettamente, contro ogni buona norma di educazione e rispetto, la notte precedente al giorno fissato per la causa di divorzio, si recherà a casa del giudice per conferire urgentemente con lui, Kristof cederà alla sua insistenza e lo lascerà entrare nonostante fosse suo preciso dovere allontanarlo. Perchè cio?
C'è qualcosa nelle parole e nell'atteggiamento del dottore che insospettisce il giudice e quasi lo spaventa.
Quando i due si ritrovano uno dinanzi all'altro nello studio del giudice, in una cornice che sarà poi riproposta similmente ne Le braci, ha inizio la 'deposizione' del dottor Greiner.
Il racconto del dottore è quasi un monologo, il giudice ascolta praticamente in silenzio tranne rari interventi in cui rimarca l'illegittimità di quella conversazione a poche ore dalla causa in tribunale.
Ma quella causa in tribunale non potrà più esserci, se ci sarà una sentenza dovrà essere emessa lì, nel salone di quella casa.
E mentre la testimonianza del dottore ripercorre con dovizia di dettagli tutta la sua vita, sino agli ultimi anni di convivenza con la moglie, l'atteggiamento del giudice cambia: la sua postura non è più altèra, le sue parole non sono più rimproveri e condanne altisonanti, il suo scranno diventa traballante cosi come incerte e traballanti diventano le sue convinzioni.
Sembra quasi che i ruoli si invertano, diventa impossibile capire chi sia il giudice e chi l'imputato sin quando, sul far del giorno, anche Kristof non potrà più esimersi dalla sua confessione, non potrà evitare la risposta a quella domanda che rappresenterà per i due uomini, per le loro coscienze, l'assoluzione per uno e condanna per l'altro:
"Dimmi, Kristóf, negli ultimi otto anni tu non hai mai sognato Anna?".

Pochi scrittori, come l'autore di questo romanzo, riescono a scandagliare l'animo umano così profondamente, sin negli anfratti più reconditi, in quelle zone oscure volutamente occultate affinchè non vengano mai esplorate ed i segreti là custoditi rimangano tali in eterno, destinati a morire con chi li preserva.
Sandor Marai, invece, in questo romanzo così come nell'altro capolavoro 'Le Braci' che scriverà successivamente, crea una spaccatura, una frattura in quella barriera impenetrabile dell'animo umano, apparentemente inattaccabile perchè eretta su solide fondamenta, princìpi, regole e convenzioni di una società rigida e conservatrice come quella ungherese prima dell'avvento del regime comunista durante la seconda guerra mondiale.
L'immagine che ho percepito leggendo questo libro è proprio quella di una crepa che, pian piano, scorrendo le pagine, diventa sempre più fitta.. come quando durante un terremoto di forte intensità la terra si sgretola sino a creare enormi voragini. Voragini cosi profonde da far emergere ricordi, pensieri, sensazioni represse perchè sbagliate, sconvenienti e contrarie alla 'norma'.
E non c'è da meravigliarsi se, alla fine di tutto, nell'epicentro di questa catastrofe ci sia sempre una donna. E l'amore, quello che non può essere soffocato da nessuna regola, quello che continua a bruciare dentro pur sotto cumuli di bugie, di parole non dette, sorrisi forzati e desideri domati.
E poi basta poco per esplodere.. una piccola crepa che si trasforma in voragine.
"Non è possibile non udirlo, è un ordine più forte del fragore di un tuono, non si può essere tanto sordi da proseguire senza averne la minima percezione, restare indifferenti mentre tale comando ti rimbomba ancora nelle orecchie."
Un fragore così intenso da sovrastare ogni tentativo di ravvedersi, di tornare sulla retta via; emblematica l'immagine finale del giudice a cui sembra di udire la voce del padre scomparso mentre ne contempla il ritratto:
«Svegliati, Kristóf K?mives! Svegliati, e resta forte! Tu devi occuparti del giorno. Resta umile e fermo! Mantieni viva la tua fede e sii severo! Il mondo è materia cedevole, sii tu a plasmarlo!».
Ma Kristof china la testa e nasconde il viso tra le mani.

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Laura V.
05 Aprile, 2018
Ultimo aggiornamento:
05 Aprile, 2018
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Una recensione molto profonda! Ho letto "Le braci" proprio un anno fa, quindi anche questo titolo potrebbe fare al caso mio, grazie! Un saluto, Vincenzo! :)
In risposta ad un precedente commento
Vincenzo1972
05 Aprile, 2018
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Grazie Laura.. effettivamente sono stato un pò troppo prolisso.. ma ti assicuro che la versione originale del commento era molto più lunga.. d'altronde quando ci son di mezzo amore e psiche il dibattito diventa... eterno.
Molto bella la tua recensione, Vincenzo.
Amo parecchio la scrittura di Marai, pertanto anche questo libro mi è piaciuto. Lo trovo però inferiore ad altri testi, quali "Le braci", "La donna giusta" o "La sorella".
In risposta ad un precedente commento
Vincenzo1972
05 Aprile, 2018
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Grazie Emilio, adoro Marai pertanto ti ringrazio per il consiglio sulle altre opere.
Colpito e affondato! Bel libro e bel commento.
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