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Trilogia della città di K.
 
Trilogia della città di K. 2018-04-01 05:24:51 Bipian
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Bipian Opinione inserita da Bipian    01 Aprile, 2018
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Vite spezzate

Le prime pagine della trilogia sono un pugno allo stomaco. Davvero mi è capitato raramente di leggere qualcosa di più crudo, violento e desolante.

E' la storia di un'infanzia violata di due gemelli, a causa della guerra e della perdita dei genitori.
I bambini diventano spettatori e protagonisti di un mondo crudele e spietato, dove la morte è quotidianità, l'essere umano è privato di una qualsiasi umanità, la bontà è merce rara e preziosa e l'amore non esiste.

Lo scenario è descritto nel primo libro in maniera magistrale con un linguaggio a dir poco scarno e asettico: è il diario tenuto segretamente dai gemelli, che sono troppo giovani per esprimere giudizi, si attengono solo ai fatti, che per loro sono normali.
Il loro agire, cinico e rigoroso, preso forzatamente in prestito dalle persone adulte, è perfettamente coerente con la realtà in cui sono immersi. E' la dimostrazione che la violenza genera violenza, che in regime di guerra sopravvive solo il più forte, che quando le condizioni di vita si spingono al limite, l'umanità e l'amore vengono sacrificati in nome della mera sopravvivenza.

La forza e il progredire di questo esordio verso vertici di immane brutalità valgono da soli la lettura di quest'opera. Poi i toni si stemperano nelle successive due parti, in cui vengono narrate le vite separate dei due protagonisti, ormai adulti. I capitoli si allungano, quasi a voler rappresentare il tempo dell'età adulta rispetto agli anni dell'infanzia.
I due uomini affronteranno per tutta la vita i fantasmi del passato, saranno incapaci d'amare e di essere felici, vivranno una condizione di miseria spirituale e di solitudine estrema, imparando a metabolizzare ulteriori lutti e infine perdendo gradualmente il contatto con la realtà che li circonda.

Il tema dell'esilio, caro all'autrice ungherese, fuggita e vissuta fino alla sua morte in Svizzera dopo l'invasione sovietica del'56, è il filo conduttore degli ultimi due libri, dove peraltro la narrazione a mio parere perde in coerenza e in efficacia.
Qui Agota Kristof confonde volutamente le carte, opera nel terzo libro una narrazione a ritroso, che con più salti ritorna all'infanzia dei gemelli, modificando però completamente la storia narrata nel primo libro.
L'effetto è molto destabilizzante per il lettore, che deve decidere qual è la realtà e quale la finzione (non a caso l'ultima parte s'intitola "La terza menzogna").

Il tutto rimanda a Kafka, al teatro dell'assurdo, all'espressionismo, alla musica dodecafonica, che servono egregiamente allo scopo ma possono essere molto irritanti.

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