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Delitti, maledizioni e qualche tartaruga
È dai tempi della trilogia originale di “Star Wars” che il secondo capitolo di una serie viene generalmente collegato ad una svolta noir della trama. La trilogia di Jósephine non fa eccezione alla regola, infatti questo romanzo accantona i toni un po’ frivoli e da commedia de “Gli occhi gialli dei coccodrilli” per inoltrarsi in un’atmosfera più cupa e densa di misteri degni di un thriller.
La storia riprende alcuni mesi dopo la fine del primo volume, ma gli smemorati non si preoccupino: all’inizio è presente un ampio recap di quanto accaduto in precedenza.
Seppur incentrata un paio di volte in un unico tempo e luogo, la trama è quasi sempre spezzettata in tre storyline principali, connesse ad altrettanti protagonisti: un filone segue la storia del personaggio principale, Jósephine, un secondo la figlia di questa, Hortense, e l’ultimo la famiglia del patrigno di Jo, Marcel. Da queste tre si dipanano poi un ricco gruppo di sottotrame che fanno capolino grazie ai POV dei personaggi secondari: il focus per Jo è la risoluzione di una misteriosa serie di delitti, e alla sua storia si collegano la figlia Zoé con le sue prime pene d’amore o la sorella Iris, alla ricerca del vero amore; parimenti troviamo l’evoluzione del personaggio di Hortense, specie in relazione al suo sogno di diventare un’affermata stilista, contornata dalla storia di Gary, mentre per Marcel sono presenti collegamenti al piccolo Junior e alla ex-moglie Henriette.
Accantonando per un attimo la sostanziosa trama, si può considerare l’intera trilogia come un unico percorso di crescita e maturazione per la protagonista, ma anche come un terzetto di volumi da leggere separatamente volendo, in quanto nel finale non vengono lasciate incognite in sospeso e il romanzo è fondamentalmente autoconclusivo.
Rimanendo sempre cardine delle vicende, in questo secondo romanzo, Jo cede molto spazio ai comprimari, e personalmente ho davvero apprezzato i POV di alcuni personaggi negativi perché questo espediente permette di conoscere almeno in parte le loro ragioni.
La Pancol sceglie di osare e di mostrare al lettore il lato più oscuro dei personaggi buoni, ma anche le debolezze ed i sentimenti degli antagonisti. In linea generale comunque, la serie acquista molti nuovi personaggi che vanno ad arricchire la narrazione, mentre sono decisamente meno coloro che escono di scena.
Per quanto riguarda Jo, il mio giudizio è parecchio altalenante, perché si sono alternati momenti in cui la sua evoluzione sembrava regredita agli albori del primo romanzo, ed altri dove prevaleva la sua neonata fiducia in se stessa; in generale, credo che sia una protagonista con la quale è più facile empatizzare se si è come lei madri.
Nel precedente capitolo, i coccodrilli avevano un ruolo fondamentale, tanto da poter essere considerati dei veri e propri personaggi. Lo stesso non si può dire delle tartarughe per questo volume: sono davvero pochi i riferimenti ad esse nella narrazione e fanno una comparsa tardiva e limitata nella storia. In modo analogo, la città di Londra, anticipata nella copertina, è lo sfondo solo di un numero limitato di scene e non rimpiazza mai Parigi come principale anticipazione.
L’elemento che maggiormente mi ha irritato è stata l’introduzione di parecchi elementi magici e fantastici in una storia che era partita con premesse in sostanze realistiche. Bocciato anche l’inserimento di molti (troppi!) VIP reali.
Ho apprezzato invece l’eccellente lavoro di ricerca svolto dalla Pancol sulla storia del XII secolo, così da rendere più credibile il personaggio di Jo. Positivo anche il finale in cui vengono risolti i vari misteri in modo attendo e senza lasciare tasselli fuori posto.
Lo stile di scrittura è grosso modo invariato da “Gli occhi gialli dei coccodrilli” ed è caratterizzato da un intreccio tra la narrazione in terza persona e i pensieri in prima; credo sia proprio questo a rendere le riflessioni dei personaggi tanto interessanti ed accurate.