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Lucidità e Cecità
«È interessante come spendiamo tutti i giorni della vita a congedarci, dicendo e sentendoci dire a domani e, fatalmente, uno di quei giorni, che per qualcuno sarà stato l’ultimo, o non ci sarà più colui a cui lo abbiamo detto, o non ci saremo più noi che lo abbiamo detto. Vedremo se questo domani di oggi, che siamo soliti chiamare anche il giorno seguente, quando il sindaco e il suo autista personale si incontreranno di nuovo, saranno capaci di capire fino a qual punto sia straordinario, fino a qual punto sia stato quasi un miracolo l’aver detto a domani e vedere che si è realizzato con certezza quello che altro non era se non una problematica possibilità.» p. 110
Per sua natura intrinseca è impossibile non considerare il “Saggio sulla lucidità” quale la continuazione di “Cecità” altro capolavoro sempre a firma José Saramago. E questo per il fatto che non solo a metà dell’opera troviamo nuovamente i personaggi che hanno reso indimenticabile quest’ultimo citato componimento, ma anche perché torna a farsi protagonista la tematica del bianco, un bianco che se in precedenza era percepito come una forma di sostanza lattea, lattiginosa, una sorta di non visibilità chiara e non scura come siamo soventi immaginare e che adesso si esprime mediante quell’astensione dal voto da parte della popolazione.
Da detto breve assunto ha origine una profonda riflessione sulla politica, su quel meccanismo machiavellico che non riesce a giustificarsi questa assenza di espressione da parte del cittadino, che non riesce a giustificarsi prima quel mancato recarsi alle urne e di poi quel manchevole voto per uno dei tre partiti prediletti. Ma non può il potere politico interrogarsi sulle ragioni che possono aver indotto l’intera capitale a una tale condotta, fondamentale è trovare quel capro espiatorio che faccia da causa giustificatrice e motivante. Pertanto, l’assenza alle urne viene scusata con il fenomeno atmosferico della pioggia che scatenandosi dal cielo in modo incontenibile, non poteva in alcun modo permettere al bipede di recarsi presso i locali adibiti, al contrario, la non manifestazione dell’elezione trova ragione in un complotto, un complotto che è stato adito niente meno che da coloro che ben quattro/cinque anni prima sono scampati alla cecità e che in particolare è stato architettato dalla moglie dell’oculista, che nello specifico, affetta da perdita della vista mai è stata. Conclusione questa a cui si giunge esclusivamente dopo aver messo sotto assedio la città medesima e dopo averla riempita di spie obbligate – volenti o nolenti – a raccogliere prove anche solo presuntive, ipotetiche, costruite di quei destinatari di una colpa suprema.
La lucidità finisce di conseguenza con il contrapporsi alla cecità. Da una dimensione quasi apocalittica in cui il caos regna sovrano, la razionalità non esiste, la violenza è all’ordine del giorno, la popolazione regredisce ad uno stato primitivo e antisociale dove solo sul finale, con il recupero della vista, è plausibile ipotizzare un ritorno ad uno stato semi-civile, allo statu quo ante, si passa a una condizione di massima civiltà in cui gli abitanti si sentono abbandonati dalla classe politica ma non si lasciano andare alla violenza. Anzi. Sono un muro impenetrabile tra loro, un muro che non lascia spiragli.
Ciò potrebbe far pensare a un Saramago quasi ottimista e quindi in lauto contrasto con la sua inclinazione pessimistica: possiamo stare tranquilli, questo non accade. L’ingratitudine umana non è una parentesi, un caso isolato, è una costante che torna a farsi presente e concreta nella figura del primo cieco. Quest’ultimo denuncia la moglie del medico, la donna cioè a cui deve la vita, finendo col retrocedere al già noto stadio di cecità. Al tutto si somma il carattere dell’acqua che se nel primo romanzo era simbolo di purificazione e recupero dell’organo visivo, qui è stagnante perché sinonimo di quella società nelle mani del potere. Il commissario sarà in questo contesto che riuscirà a scrutrare il vero volto della società e sarà in questo contesto che la sua vita vedrà il termine, esattamente come quella della moglie del medico che vedrà posto in essere il suo ultimo atto proprio su quella terrazza che in cecità era sinonimo di “ripresa della vita”.
Un romanzo, quello presentato, con molte assonanze con il precedente componimento e che è al contempo lautamente attuale. Nel suo dipanarsi riesce a mostrare quelli che sono i meccanismi politici che governano il mondo, con annessi e connessi complottismi, con annesse e connesse divulgazioni a mezzo stampa che aprono le fila ad un’altra – non minore – tematica; quella della censura della libertà di divulgazione del pensiero.
«Conosce già le risposte che vuole, o vuole che alle domande siano date delle risposte, domandò il medico, e aggiunse, Perché non è la stessa cosa» p. 212
«Il suo crimine, cara signora, non è l’aver assassinato quell’uomo, il suo grande crimine è stato non essere divenuta cieca quando lo eravamo tutti, l’incomprensibile si può disprezzare, ma non lo sarà mai se c’è modo di usarlo come pretesto» p. 235
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