Dettagli Recensione
Un lungo viaggio già finito....
Un lungo tour che attraversa l' Europa nel tentativo di ricostruire un rapporto genitoriale e di coppia, analizzando e rivalutando ogni momento di un matrimonio ventennale e di una vita finora condivisa e consolidata, fino a quell’ improvviso " il nostro matrimonio e' arrivato al capolinea, Douglas. Penso che ti lascero' ".
L' idea di un viaggio che sia espiazione-ricostruzione, analisi ed autoanalisi, ridefinendo temi e struttura famigliare, l’ amore, il desiderio di coppia, la condivisione, il dolore incalcolabile per la perdita della primogenita, la nascita del secondo figlio, la difficolta' nel conciliare lavoro e famiglia, caratteri, carriere ed inclinazioni diverse, il complesso rapporto con il figlio adolescente ribelle ed aspirante artista.
Nicholls cerca di rappresentare il quotidiano, somma di passato e presente ma in questi termini senza futuro, in una alternanza di intimità e distacco, rappresentando ansie, dubbi, fragilità e diversita', tra fugace ironia e riflessioni personali e sugli altri, quel quid misterioso ed inafferrabile insito nella dinamicità ed imprevedibilità della vita stessa.
Utilizza una prosa piuttosto leggiadra e colloquiale, nessuna profondità di contenuti, per un romanzo dei buoni sentimenti con un solo vero protagonista, Douglas, che ripercorre le tappe di una vita cercando risposte che iniziano e finiscono dentro di se’, con lunghi tratti di prolissità e noiose dissertazioni e banalizzazioni anche nei tratti malinconici, laddove la rottura è manifesta ma permane l’ idea di un rapporto da recuperare con vista sul futuro.
Il viaggio attraverso l’ Europa si trasforma in un tour di opere d’ arte da agenzia viaggio con cartoline scontate e stereotipate.
Interessante l’ idea di rappresentare la stessa storia da angolature difformi, e che ogni protagonista sveli la propria versione dei fatti, fluttuando dalla oggettivita' degli accadimenti alla inevitabile soggettivizzazione degli stessi.
E altrettanto può fare il lettore, preferendo la versione di Douglas, di Connie o di Albie. Ma è un aspetto solo accennato e che concerne la sfera personale, e la verità, come sempre, sta nel mezzo.
Douglas è un protagonista piuttosto noioso, melenso, egocentrico, da sempre vissuto all’ombra della moglie Connie, artista fascinosa e leggiadra, con l’ idea di essere stato allontanato da tutto e da tutti sin dall’ adolescenza, un brutto anatroccolo e genietto incompreso scelto solo per bonomia o necessità.
E che dire del suo rapporto con il figlio Albie, adolescente ribelle? Qui non è ben chiaro chi sia il genitore e chi il figlio, in un inseguimento confuso di ruoli e situazioni e stereotipi nauseabondi ( il padre severo, il padre pentito, il padre amico, il padre salvatore della integrità famigliare ).
Insomma, cosa Douglas ha cercato di salvare all’ interno del proprio matrimonio? Semplicemente se stesso, fallendo miseramente perché il tempo era già scaduto da anni senza che se ne fosse mai accorto.
Un romanzo banale, lungo e noioso, decisamente brutto, è stato difficile concluderlo ed una volta fatto, resta ben poco da ricordare e trattenere, vivamente sconsigliato.