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Solitudine protratta e quanto voluta?
“… Io sono ora. Qui. Jim è morto. È morto…”
Una giornata della vita di George, cinquantottenne professore universitario, ormai tragicamente solo dopo il terribile incidente che gli ha sottratto l’ amato compagno Jim.
Un inizio da subito complicato, in piedi davanti a quello specchio che riflette la precarietà e la difficoltà di un volto invecchiato, abbruttito, con guance cascanti e lo sguardo provato di un individuo che, attraversate tutte le stagioni della vita, lotterà sino alla fine senza alternative possibili.
Poi una indicazione esterna, cosciente, quella parte di se’ che gli ordina di alzarsi ed iniziare un altro giorno. Esce, si mette in moto, comincia a peregrinare e ad osservare gli altri, amici, vicini di casa, studenti, conoscenti, sconosciuti, tra pensieri nostalgici e dolorosi ricordi, scendendo in profondità, dentro di se’.
Un viaggio lampo fisico e mentale con risposte che già conosce, a perlustrare una quotidianità arcinota, a godere di una solitudine in parte voluta, ad inabissarsi in una abitudine malcelata, ad indossare la consueta maschera di pedagogista, a ricercare la compagnia di chi forse può capirlo, o unicamente sospinto dal desiderio di non rimanere completamente solo e da un egoismo sublime.
La morte di Jim pare non essere poi così determinante e solo una scusa per odiare i 3/4 della popolazione americana, la sua è rabbia, risentimento, noia.
George critica, brontola, redarguisce i chiassosi bambini del vicinato, per spalmarsi subito dopo il make-up psicologico adatto al compito che deve interpretare.
Il ruolo di insegnante lo pone come rappresentante della speranza ed, in mezzo ai suoi studenti, si copre di altro, è lume, guida, emana un certo fascino, da alcuni seguito ed ascoltato, ma forse con un unico fine ( scolastico ), al contrario il suo sguardo scorre sui visi della classe traendo forza dai sorrisi di rimando di quei giovani occhi luminosi.
A volte si considera uno straniero, ma ancora si sente vivo, impulsivo, desidera godere del suo corpo, per la sua età diverso, semplicemente non ha rinunciato a vivere.
Finisce con il domandarsi: Chi conta su di me? A chi importa di me?
Certamente questo ultimo breve romanzo di Isherwood è costruito su fotogrammi, immagini, pensieri, attimi, e distingue un se’ pensante da un se’ operante, possiede una marcata ambivalenza ed un quid fumoso e divagante, in un insieme destrutturato e decadente, a immagine del professore medesimo.
Le sue riflessioni cozzano con i suoi desideri, il suo sentire con i suoi sentimenti, le sue azioni con il suo agire.
Quale la realtà reale e la percezione della stessa? E l’ ambiguità dei sogni e dei desideri? Ricerca l’ approvazione degli altri ma se ne sottrae, indica la giusta via ma è tuttora vittima di pulsioni giovanili, constata amaramente il proprio inevitabile declino ma vuole fortemente continuare a vivere e sperimentare.
Di un certo interesse alcune riflessioni e momenti di interiorità, la constatazione di un mondo ormai uniformato ed anestetizzato, a contorno alcuni dialoghi pungenti con descrizioni calzanti, ma nel complesso un certo caos regna sovrano, e l’ uomo solo, in bilico tra desiderio e realtà, sopraffatto da attimi, istanti, ricordi, probabilita’, in quell’ … “ ora “… , come la lunga giornata iniziata ed appena finita, resta sospeso tra coscienza individuale e collettiva, sonno e veglia, vita e ….