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Il coraggio di ricordare
È legittimo sacrificare verità e giustizia in nome della pace? Nella graphic novel capolavoro di Alan Moore “Watchmen”, il geniale Adrian Veidt -aka il supereroe Ozymandias- decide di tenere il mondo intero all’oscuro delle sue trame per evitare un conflitto nucleare, e al contempo il suo collega Rorschach viene messo a tacere perché incapace di rinunciare ai suoi valori.
Ne “Il gigante sepolto”, è descritta invece una situazione completamente ribaltata, in cui chi tenta di proteggere la falsa pace tra britanni e sassoni va incontro alla morte, mentre a trionfare è una verità portatrice di guerra e violenza.
A differenza di “Non lasciarmi”, per il quale Ishiguro aveva ideato un’ambientazione del tutto originale, in questo romanzo ci troviamo nella mitica Inghilterra del Ciclo Arturiano, tanto che fa la sua apparizione il cavaliere Galvano e vengono più volte nominati sia Artù che Merlino.
In questo scenario fantastico si muovono i nostri protagonisti in due coppie distinte, seppur chiaramente destinate ad incontrarsi: da un lato abbiamo Axl e Beatrice, due anziani coniugi in marcia verso il villaggio dell’amato figlio, mentre dall’altro troviamo il guerriero Wistan ed il suo giovane apprendista Edwin, la cui missione è portare soccorso ai loro compatrioti sassoni oppressi dal malvagio Lord Brenno.
A queste figure si aggiunge poi Ser Galvano, cavaliere e nipote del grande Artù, che erra pre quelle stesse terre assieme al fedele cavallo Orazio che il fine di adempiere alla sua antica missione, ossia uccidere la terribile draghessa Querrig.
Tutti i personaggi sono però gravati da un crudele sortilegio chiamato “nebbia” che ruba i loro ricordi, facendo scordare eventi lontani e recenti. Se da un lato questo è certamente problematico, come nel caso dei soldati che scordano il compito affidatogli dal loro signore, da un altro Ishiguro vuole far riflettere il lettore sulle situazioni in cui dimenticare il passato può aiutare a vivere in modo più sereno il presente.
Seppur procedendo con lentezza, appesantita da alcune scene superflue, la trama riserva degli eccellenti colpi di scena che riescono a tenere viva l’attenzione del lettore. La parte che soggettivamente ho trovato più debole nel romanzo è senza dubbio il finale, in cui l’autore accantona le rivelazioni sensazionalistiche attese (da me) in favore di riflessioni ben più profonde sulla memoria e sul perdono.
Tra i personaggi spiccano per il loro carisma Axl e Wistan, mentre i loro rispettivi compagni di viaggio non riescono proprio ad accattivarsi il favore del lettore e risultano spesso i “pesi morti” della compagnia degli eroi; infatti, la maggior parte dei personaggi è chiaramente una riproposizione di figure classiche in miti e leggende.
Lo schema strutturale del romanzo è abbastanza particolare: innanzitutto, l’autore opta per la narrazione in terza persona così da poter alternare più POV possibile, e solo nel finale rivela (forse) l’identità del vero narratore; la maggior parte dei capitoli inizia poi anticipando un evento per ripercorrere in un secondo momento la storia utilizzando dei brevi flashback. Infine un dettaglio che a tratti può risultare fastidioso è il continuo ripetersi di nomi o ruoli dei personaggi, seppur ciò renda più chiaro il collegamento alle figure leggendarie.
È stato rassicurante ritrovare il tono pacato ed attento di Ishiguro, capace di coinvolgere ed incantare il lettore anche se non si ritrova direttamente nei personaggi. Il suo stile risulta inoltre molto affine all’ambientazione medioevale ed ai personaggi stessi -specialmente ai nobili cavalieri-, mentre stona nelle scene d’azione.
Da nota come spesso l’autore interrompa una descrizione o tronchi un dialogo per rivolgersi in modo diretto ed un po’ informale al lettore e fornirgli dei chiarimenti.
Infine, il misterioso maleficio che affligge i personaggi -e che assomiglia molto alla malattia dell’insonnia in “Cent’anni di solitudine”- sembra colpire a tratti anche lo stesso Ishiguro, quando si interrompe poco prima di rivelare preziose informazioni, facendo sospirare i suoi lettori.
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