Dettagli Recensione
Shotgun Lovesongs: titolo bello. Il resto meno.
Shotgun Lovesongs – Nickolas Butler, 2013
Aperitivo per cinema con un'amica lettrice fidata che mi magnifica questo libro. Pare sia quello da cui è tratto il bellissimo film “non ho capito il titolo” con “non ho capito chi” giovane. Ma voce, sguardi e parole son così convincenti che decido di leggerlo immediatamente.
Va da sé che poche ore dopo l’aperitivo (e la visione di un film che sarebbe riduttivo definire dadaista) arriva la correzione: no, in realtà no. Non c’entra niente con il film. Però è bello bello. Almeno così crede la mia amica.
Da devota seguace di Dirk Gently, mi basta molto meno di questo per convincermi a fare qualcosa, qui poi c’è un’altra cosa ganza: il titolo. “Shotgun Lovesongs” mica pizza e fichi. Bello bello.
Peccato la storia del "come" e il titolo siano (quasi) le sole cose belle
Little Wing, Wisconsin. Borgo di poche anime e molta neve dove si snodano ed articolano le vite dei protagonisti: un gruppetto di amici che si conoscono dall’infanzia, crescono insieme e – caso strano – prendono strade diverse: abbiamo Leland (detto Lee, ma nella mia mente stabilmente “La(la)land” e detesto i musical, non dico altro) che dal garage in mezzo alla neve riesce a catalizzare la sua passione per la musica e a diventare una star mondiale, Kip che fa i soldi, ma rimane uno stronzetto, Henry che è quello solido (agricoltore, marito amorevole, padre esemplare, colonna di forza, amico devoto e… noia a vagonate), Ronny che era il campione dei rodeo, ma ha avuto un incidente ed è rimasto “leggermente offeso” (e non a caso è il più normale del gruppo, oltreché il più simpatico e quello che si legge più volentieri), non mancano le donzelle che naturalmente non possono essere che “speciali”, a cominciare dall’insopportabile Beth, moglie del meraviglioso Henry che ama il marito, ovviamente, ma anche un po’ Lalaland sotto sotto (stucchevole resoconto di una toccata e fuga di dieci anni prima, prevedibile come le tasse e avvincente come un paracarro), la psicopatica Felicia che da un certo punto in poi comincia a blaterare sulla maternità riuscendo solo nell’intento di farci provare compassione per suo marito – lo stronzetto Kip (ma che razza di nome è?) – e non era facile. C’è poi Lucy, la fidanzata e poi moglie di Ronny, che probabilmente non è un fenomeno neanche lei, ma sempre meglio delle altre, ed infine Chloe, la superstar del cinema che sposa Lalaland, ma si capisce da subito che è tanto cattiva e lo farà soffrire. Mica come le brave ragazze del paese. Brave ragazze del paese che – va da sé – sono tutte stragnocche, buone e sensibili. A volte un tantino inquiete, magari. Con una certa tendenza a raccontare palle e – soprattutto – a raccontarsele.
Il romanzo si divide in capitoli contrassegnati da una lettera – l’iniziale del nome del personaggio che racconta. Purtroppo, come accennavo la storia è molto ordinaria, il plot non decolla e non ha l’aiuto di una scrittura che possa sostenerlo. Ci sono un paio di trovate che potevano essere interessanti – il vecchietto conosciuto per caso da Kip, le uova in salamoia di Henry e Lalaland – e invece restano un po’ “appese lì”. Qualche descrizione piacevole. Poco altro.
Peccato.
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