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Sofia
«Era sicuro, ormai, che Sofi sapeva concentrarsi soltanto quando ascoltava davvero la spiegazione, quando si trovava solo lei in classe. Non riesce a comprendere servendosi degli occhi, perché tutto il resto li assorbe, ma ci si può fidare del suo udito. Non aveva mai dubitato che fosse una bambina intelligente. Che pasta ci fai? Judit aveva sbagliato anche in questo. Avrebbe dovuto chiedere a Pongracz come faceva a conoscere Sofia.»
Sofia è una bambina particolare. Figlia di un medico e di una scrittrice, è riservata, silenziosa, apparentemente lenta e calma nell’apprendimento, nel concreto solerte e rapida se concentrata. Dentro di sé nasconde un mondo, un mondo tutto da scoprire eppure non facile da comprendere. Perché Sofi ha perso il padre, così, inaspettatamente, e nell’andarsene quest’ultimo ha lasciato detto: “Ditelo a Sofia”. Ma dirle cosa? E perché? La giovane protagonista non riesce e non può darsi una spiegazione tanto che decide di mettersi alla ricerca di quelle persone che sono venute in contatto con il dottore al momento della sua dipartita per cercare di far chiarezza su questo mistero, su questo rebus irrisolto.
Ha inizio così l’avventura della piccola, un’avventura che arriverà a coinvolgere tanti altri personaggi e che porterà a ricomporre un puzzle di colori e di emozioni. Perché sin dal principio la Szabò riesce con la sua capacità creativa a delineare perfettamente uomini e donne, rendendo indimenticabile ogni alunno, professore, custode, postino, muratore, portiere, inserviente, anziano. Anche se taluni nella narrazione possono sembrare superflui, con lo scorrere della stessa, appare chiaramente come in realtà non lo siano poiché ciascuno pian piano assume un ruolo ben preciso e determinato per il chiarimento dell’arcano. La stessa Sofia finisce con l’essere dalla protagonista, una dei protagonisti, perché in questa ricerca inarrestabile incontrerà altre persone e al contempo dovrà imparare a confrontarsi con sé stessa. La sua figura assumerà contorni confusi per poi riassumerne di definiti e nuovi.Le sue paure, i suoi dubbi, i suoi gesti quieti, saranno scossi dal tumulto delle circostanze e la sua stessa figura vedrà un riscatto agli occhi di chi l’ha sempre relegata ad una condizione di inferiorità o l’ha sottovalutata.
Non solo. Riuscirà, ancora, a ritrovare quell’amore che credeva ormai perduto a seguito della morte del padre. Avendo avuto da sempre un rapporto conflittuale con questa madre che non perde occasione per denigrarla, per sottolineare ogni sua imperfezione perché incapace di comprenderla davvero per considerarla quasi un peso, la bambina farà della sua dolcezza, sensibilità e pazienza una forza (a discapito di quella timidezza e disagio verso tutte le situazioni) conquistando perfino Istvàn Pongràcz, usciere della scuola malato e dal carattere rude, aspro e collerico. Aiutandolo nella degenza ne coglierà aspetti e segreti più profondi del suo presente e del suo passato.
Il tutto è avvalorato e accompagnato da una scrittura soave, erudita, che sa adattarsi ai vari protagonisti creati. Una delle peculiarità dell’ungherese è proprio quella di riuscire ad amalgamare il proprio stile ad ogni voce presente nei diversi romanzi. Ci sentiamo Emerenc, Eszter, Etelka, Sofia, senza alcuna difficoltà.
«Il fatto è che lei le dirige verso altre cose, cose ben diversa da quelle che a te verrebbero mai in mente. Lei è ancora come una sfera, non riesci ad afferrarla perché non ha uno spigolo, per fissarla a una superficie solida, ma continua a rotolare di qua e di là. Ha un segreto, una molla nascosta, che toccata al momento giusto farà scattare un meccanismo [..]»