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AMARO, TROPPO AMARO
Una visione della vita sorretta da una certa predestinazione, un’esistenza fra le tante inutile e insensata, a corollario un intero universo emotivo che , sapientemente imbastito nei tempi dilatati della fanciullezza, si lacera nel tempo incompiuto di un’esistenza mai vissuta. Nique, povera Nique, così ti chiamano ancora i tuoi parenti lontani che a stento ti rintracciano a Parigi per annunciarti la morte di una zia. Dominique, sola, povera e bramosa di vita. Educata a stare da una parte, mesta e silenziosa, dopo la morte del padre che ha accudito per puro del senso del dovere, si ritrova schiacciata da un futuro senza alcuna prospettiva. È costretta ad elemosinare la permanenza nella casa che un tempo era sua e ad affittarne degli ambienti per poter sopravvivere. Entra in casa, una stanza separata da un salotto che funge da cerniera con il suo piccolo vano, una coppia di sposini, esuberanti, vitali, chiassosi e molto attivi sessualmente. L’udito si affina, la vista cerca validi pertugi, la mente rivaluta il proprio corpo maturo ma mai sfiorito, l’amore: una vana speranza soffiata da un destino crudele. Dominique si protende dunque verso la vita degli altri e la spia dalla finestra, in questo caso è un video senza il sonoro ma lei, in questo cinema muto, coglie tutti i particolari delle esistenze che si ritrova a spiare. Una coppia di anziani coniugi e la loro cameriera al piano di sopra, un piano più sotto il loro figlio malato e una nuora mai apprezzata. Proprio lei, Antoniette, diviene la sua ossessione: ha lasciato morire il marito non intervenendo a somministrargli il medicinale che avrebbe potuto ancora una volta salvarlo. È ora libera e vive ma Dominique che ha visto tutto la controlla, la spia, la pedina , la provoca, la invidia …
Il romanzo scorre veloce e inesorabile come la vita lasciando una sensazione di cupo pessimismo, a nulla valgono illusioni, speranze, lo strare cheti in un angolino a guardare o il vivere spasmodicamente alla ricerca di una durevole felicità, voraci di vita, ebbri di clamori, zeppi di denari se infine tutto si riduce a una desolata solitudine, quella insita nella stessa esistenza.
Amaro, troppo amaro.
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