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Caccia all'uomo
È sempre un piacere leggere il caro belga, si consolida la garanzia di ritrovare ambientazioni e temi ormai noti. Non si corre però il rischio di annoiarsi perché la materia è gestita con tale padronanza che non viene mai meno il piacere della scoperta e anche quando la trama non regala grandi soddisfazioni, ci si ritrova comunque paghi della lettura intrapresa. Nel caso specifico la memoria ha richiamato subito “La scala di ferro” e per il singolare mezzanino che funge da ambientazione e per il collegamento dell’appartamento ad un piano terra adibito ad uso commerciale. L’ambientazione appunto, è lì a farla da padrona la maestria dello scrittore. Un piccolo paese tutto affacciato ad una vera e propria corte mercantile- come ne “Il piccolo libraio di Archangelsk”- viene riprodotto dalla visuale annoiata e costretta di un bambino di sette anni, Jérôme, lontano da scuola più per volontà della famiglia che per la presunta epidemia di scarlattina che si adduce a scusante. Passa le sue giornate là, il piccolo, rispecchiandosi nel destino sbirciato, carpito, dedotto, di un altro bimbo che vive un isolamento simile al suo in compagnia della nonna. Tutto sarebbe ai limiti della normalità (?) se nella scena non irrompesse il classico elemento di rottura, fatto persona nella figura di una zia vecchia, adirata, invadente, resa ancora più temibile dal rancore che nutre in seguito alla perdita della sua casa promessa in eredità proprio al padre del piccolo, se mai riuscisse a riappropriarsene. Il suo arrivo si accompagna all’acuirsi di tensioni sociali di stampo anarchico coinvolgenti gli abitanti del paesino e in particolare un uomo che pare essersi rifugiato lì, nella casa materna. Piove sempre e la pioggia oltre a creare un atmosfera congeniale a certi dettagli stampatisi nella memoria del piccolo, tinge di nero la vicenda che poi si dissolve in modo prevedibile. Ad ogni modo la tensione è palpabile anche all’interno dell’angusto appartamento dove il bimbo combatte un duello all’ultimo colpo con la vecchia megera e noi ce lo godiamo tutto parteggiando ovviamente per l’infante sul quale, alcune pagine prima, invero pendeva un sinistro sospetto voluto dal suo padre putativo, il geniale Simenon appunto.