Dettagli Recensione
Dentro il Sertao
Non è semplice parlare di un libro che , datato 1956, si è imposto nella letteratura brasiliana divenendone una sua pietra miliare. Non lo conoscevo e devo la sua scoperta a una vivace comunità di lettori che dopo averlo scovato tramite la partecipazione di un nutrito numero di essi ad un sondaggio teso a scovare “perle nascoste” nella letteratura mondiale, ha fatto sì che con votazione divenisse l’eletto per un successivo gruppo di lettura. Ho partecipato dunque alla mia prima lettura collettiva e devo dire che l’esperienza è stata edificante perché i contributi degli altri hanno sostenuto un leggere non sempre piacevole e spesso difficoltoso rendendomi tra l’altro maggiormente accessibili alcuni passaggi. Resistenze innumerevoli hanno siglato la lettura e primariamente una prosa arricchita di un linguaggio ricalcante la vera natura del Sertão: Brasile centrosettentrionale, lande brulle in altitudine solcate da palme, piccoli fiumi, una fauna curiosa, variopinta, onnipresente, un esercito di solitari uccelli che scandiscono i ritmi di una natura bella e selvaggia. Una terra di nessuno o forse una terra di pochi, i fortunati possessori di isolate fazende che per proteggere le loro microeconomie hanno necessità di asservire i molti sfortunati i quali, armati, fanno valere una legge, quella del più forte, in un luogo dove la legge non arriva mai. Riobaldo, ormai vecchio, sposato, sistemato e protetto dai suoi banditi è anche lui divenuto uno di essi. È divenuto appunto giacché non fu in gioventù: persa prematuramente la madre, raggiunto un padrino, sottrattosi alla sua cura, si unisce ad una delle bande che percorrono il Sertão e questo luogo immenso, difficile, ostile e accogliente al tempo stesso lo ospita, lo fagocita e lo istruisce. La sua natura però pare rifuggire dalle leggi della sua nuova casa ma in essa lui dovrà faticosamente trovare un suo ruolo, una sua ragione, una sua identità. È sua la voce narrante che si rivolge ad un ospite di passaggio “Vossignoria”, uomo di certo istruito che viaggiando per quei luoghi capirà la sua parabola esistenziale se avrà la pazienza di ascoltare lo sfogo di un uomo che vive fondamentalmente di rimpianti, in realtà di un unico grande rimpianto. Il suo narrare è una mistura di ricordi e di considerazioni di carattere più generale che vanno a toccare le grandi verità di una terra intrisa di credenze, superstizioni, attribuzioni di caratteristiche soprannaturali anche al reale più tangibile, una terra che ha necessità di interrogarsi e di capire le grandi forze antitetiche che governano la vita umana: il bene e il male e le loro incarnazioni nelle idee di dio e del diavolo. Il ritmo narrativo discontinuo, squarciato da stupendi passaggi descrittivi che offrono bellissimi quadri d’insieme dove regnano sovrane la flora e la fauna del Sertão, zigzagato da continue analessi, inframmezzato da sequenze frenetiche al sapore di piombo, regala un’esperienza di lettura unica che mima l’episodicità della stessa esistenza: tempesta e risacca. Riobaldo si dipinge in tutta la sua umanità fatta di incertezze, paure, limiti ed errori anche nei momenti più alti del proprio percorso; un uomo solo come tutti d'altronde anche se riuniti in bande, con gli stessi ”valori” da condividere, con le stesse esperienze da raccontarsi, anche le più brutali. Un uomo che pur accettando tale sistema sempre nel suo profondo lo rinnega, se ne distanzia e insieme ne viene risucchiato ancora accertandosi tra sé e sé che “la vita della gente procede per errori, come resoconto senza piedi né testa, per mancanza di buon senso e di allegria”. E se solo l’avesse avuto un po’ di buonsenso il nostro Riobaldo oggi non sarebbe lì a ricordare e contemplare l’unica vera “nebbia” della sua vita: Diadorim. Qui ci vorrebbe proprio la “misericordia di una buona pallottola” a porre fine al suo narrare- rimuginare, ancora basiti per la sua rivelazione finale, riconciliandoci infine con lui e con la sua “traversia”.