Dettagli Recensione
Britt-Marie
«Britt-Marie adorava quell’immagine. Una volta cresciuta, ha lavato i vetri con il Faxin ogni giorno per una vita intera e non ha mai avuto problemi a vedere il mondo. Solo che il mondo non ha mai visto lei» p. 50
«Il Borg perde 14-1. Non ha importanza. Loro giocano la partita come se fosse la cosa più importante dell’universo. Questo ha importanza.» p. 268
Ufficio di collocamento. Britt Marie non chiede molto, vuole soltanto un lavoro: «Voglio un lavoro perché penso proprio che sia sconveniente infastidire i vicini con il cattivo odore. Voglio che qualcuno sappia che ci sono». Ed è così che dopo qualche insistenza, questo impiego arriva. Si tratta di prendersi cura per tre settimane del centro ricreativo di Borg, una cittadina fatta da un paio di strade di passaggio e negozi chiusi. Eh sì, perché in questa realtà la crisi ha portato la devastazione, la povertà, il degrado e chi ha potuto non ha esitato ad andarsene. In questo contesto un gruppo di ragazzi cresce alla deriva tra adulti borderline, alcolizzati e al limite della legalità. L’unico desiderio di questi giovani è quello di tirare calci ad un pallone in quel che è il loro campo di calcio improvvisato. Perché, ovviamente, quello dove giocavano in precedenza ora non esiste più come la scuola, l’ufficio postale, la pizzeria, la farmacia, il supermercato etc. etc.
Britt-Marie giunge in questa terra di nessuno all’età di sessantatré anni spinta dalla volontà di trovarsi una attività adesso che il suo matrimonio è fallito: ha dedicato tutta la vita a Kent e ai figli che quest’ultimo ha ottenuto dalla prima moglie ed ora che non può più far finta che il tradimento del marito non esista, ha detto basta. E’ una donna particolare, la nostra Britt-Marie. E’ abitudinaria, metodica, ossessionata dalle pulizie e dall’ordine, brontolona (anche se lei si considera fortemente premurosa) e imbrigliata in quelle che sono state per anni le convinzioni del coniuge che aveva sempre ragione e che capiva tutto. Alla fine, è stata risucchiata da questo vortice al punto tale dal finire con l’annientarsi.
Ma cosa chiede di tanto particolare questa eclettica protagonista se non di essere vista per davvero per almeno una volta? Di poter lasciare il segno, di poter essere ricordata e di non finire con il morire in un appartamento in cui nessuno si ricorda di lei e nessuno si accorge del suo corpo se non per gli odori dal medesimo rilasciato avviata la decomposizione? Dal suo arrivo a Borg non solo inizieranno a cadere quelle mura che con gli anni le si erano erte intorno ma al contempo, questa, riscoprirà se stessa. Muterà così come muteranno anche le persone che la circondano e tutto grazie a quel codice alfanumerico che è proprio del linguaggio di una ex casalinga spesso incompresa e relegata al volere degli altri.
Britt-Marie si fa amare, dalla prima all’ultima pagina. Non solo, fa anche tanto riflettere. Fa meditare sul senso della vita, sui nostri desideri, sul come ci vediamo e sul come siamo effettivamente percepiti da chi entra in relazione con noi, su quel segno che speriamo di poter lasciare, su quel desiderio di sentirci utili e indispensabili per qualcuno. Il cuore batte con Britt-Marie. Ride con lei, soffre con lei, cresce con lei tanto che alla fine del romanzo ci rendiamo conto di essere un po’ tutti Britt-Marie.
Al tutto si somma un linguaggio caratterizzato da una prosa apparentemente disadorna, semplice ma di fatto articolata e astuta. Backman, infatti, grazie all’utilizzo di un idioma colloquiale, di uno stile fresco, genuino e diretto, cela quello che è un intento ben più grande. E così, come con “L’uomo che metteva in ordine il mondo” si è travolti dalla morale e allora, il senso dell’opera arriva, con tutta la sua forza disarmante talché, anche quella forma narrativa apparentemente essenziale, sobria, quasi povera, oserei dire, acquista senso, qualità e significato. Ineccepibile anche la definizione dei personaggi. Pagina dopo pagina, l’avventuriero conoscitore, immagina e sente quali vivido ciascuno di essi.
Un elaborato che sa far sorridere ma anche toccare corde intime e profonde.
«La nostra ira si scontra quasi sempre con la spietata consapevolezza che nessuno è colpevole per la morte. Ma se qualcuno lo fosse? Se tu sapessi chi ti ha strappato via la persona che ami, cosa faresti? Su quale macchina saliresti? Cosa avresti in mano?» p. 293
«Il calcio costringe la vita a continuare. C’è sempre un’altra partita. C’è sempre la prossima stagione. C’è sempre il sogno che tutto possa andare meglio. E’ un gioco favoloso.» p. 302
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