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In questa vita, i conti non si regolano..
Destino crudele quello di Sonecka, beffardo oserei dire: non solo l'ha costretta sin dall'infanzia a patire le privazioni e gli stenti imposti dalla povertà ed aggravati dalla guerra, non solo l'ha ricoperta di vergogna essendo nata dalla relazione di sua madre, insegnante di pianoforte, con un suo allievo molto più giovane, motivo per cui anche la madre a volte sembra quasi detestarla:
"Sì, mi voleva bene, ma c'era nel suo affetto una penosa incrinatura, e quando mi baciava, mi pareva sempre che cercasse di cancellarla."
Ma se fosse solo questo, il destino non sarebbe stato più malevolo nei confronti di Sonecka rispetto a molte altre ragazze che abitavano a san Pietroburgo nei primi decenni del Novecento, a cavallo della prima guerra mondiale.
Per lei, invece, il destino è stato più severo: le ha scaraventato dinanzi agli occhi tutto ciò che Sonecka desiderava, gliel'ha reso raggiungibile, a portata di mano, rendendo così ancora più insopportabile il divario tra il suo mondo e quel mondo.
Marija Nikolaevna Travina era quel mondo: cantante bravissima, donna bellissima, desiderata ed ammirata da tanti, ricca, sposata con un uomo che la adorava ma soprattutto... felice, radiosa, aperta alla vita.
L'esatto opposto di Sonecka: 'Mi sembrava di vedere la vita andare avanti senza di me, attaccare e macinare gli essere umani, senza prendermi, qualunque cosa facessi per impormi.'
E quando Marija sceglie Sonecka come accompagnatrice nei suoi concerti, offrendole la possibilità di seguirla nei vari viaggi, di soggiornare con lei nella sua casa o in albergo, diventando praticamente una di famiglia, piuttosto che riceverne gratitudine accresce in lei la rabbia e l'invidia.
Invidia cieca, ossessiva. La luce che avvolge Marija non fa che spingere Sonecka ancor più nell'ombra, è Marija che magnetizza lo sguardo del pubblico, la ragazza al piano è come se fosse invisibile.
"Lei si muove, parla e canta con grande sicurezza, accompagnando parole e movimenti con gesti calmi, misurati delle mani; sembra sprigionare una specie di calore, una scintilla - divina o diabolica -, non esita mai tra il sì e il no. Io mi sento, a volte, fasciata da una bruma di incertezza, d'indifferenza, di noia, nella quale mi dibatto come un insetto notturno si dibatte nella luce del sole, prima di accecarsi o paralizzarsi. Quando ci presentavamo al pubblico - lei davanti, raggiante di salute e di bellezza, che distribuiva sorrisi e saluti, con grazia e naturalezza, e io dietro, col vestito sempre un pò sgualcito, io così magra che salutavo con piccoli inchini e cercavo di tenere le mani nel modo giusto - quando ci presentavamo entrambe: 'ebbene, che cosa pretendi' dicevo tra me 'che cosa pretendi di più dalla vita? Regolare i conti? Prenderti la rivincita? Come? E contro chi, poi? Devi tirare avanti buona buona, più cheta dell'acqua, più bassa dell'erba. In questa vita, i conti non si regolano; e l'altra, non esiste!'"
Già in un altro romanzo di Nina Berberova, 'Il giunco mormorante', ho avuto modo di apprezzare la sua innegabile dote di saper trasmettere al lettore con estrema nitidezza un identikit dell'anima dei suoi personaggi ed il profilo che ne esce fuori è sempre preciso, non lascia spazio ad ambiguità, grazie ad uno stile disadorno, essenziale ma non per questo poco efficace nel delineare i tratti distintivi della loro personalità.
Anche i dialoghi sono risicati ma le parole omesse, taciute, lasciano trasparire proprio quelle emozioni più negative, subdole dell'animo umano, come appunto l'invidia che unita ad una buona dose di abulia sfocia drasticamente nel rancore e nell'odio più esasperato.
Inevitabile il confronto con un'altra grande scrittrice di origini ucraine dei primi del Novecento, Irene Nemirovsky, il cui stile ne 'Il ballo' presenta molte similitudini con quello della Berberova, differenziandosi solo per una maggiore incisività ed acredine dovuta forse alle sofferenze e alla vita più tormentata della Nemirovsky.
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