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Il senso della vita
Già dalla prima pagina mi è sembrato di ritornare a casa, perché Holt, questa cittadina immaginaria che tuttavia assomiglia a tante località americane a carattere prevalentemente rurale, per certi aspetti rispecchia il paese dove abito. Anche lì, come qui, si nasce, si cresce, si fa l’amore e si muore, ma gli abitanti non sono le anonime ombre che si agitano freneticamente in una metropoli, hanno un volto, un nome e anche un carattere. Non c’è nulla di eclatante nelle esistenze descritte da Haruf e proprio per questo, per quanto immaginate, sono palpabilmente vere, ma l’aspetto straordinario è che i semplici eventi che accadono appassionano, però non come in una telenovela, di cui si vuol sapere il seguito di ogni puntata già immaginandolo dapprima, no, tutt’altro. E’ il modo semplice, ma estremamente efficace con cui vengono descritti i personaggi, è la delicatezza con cui vengono mostrati i sentimenti, è quel senso di rispetto, ma anche di umana pietà, verso ciascuno dei protagonisti che fanno di questo romanzo un gioiello. Prendiamo i fratelli McPheron, rimasti orfani da giovani e che conducono un allevamento di bestiame in una vita che è solo lavoro, perché non hanno mai conosciuto la gioia dell’amore; sembrano quasi misogini, rinchiusi in un bozzolo auto-protettivo, eppure accettano di ospitare una ragazza incinta che la madre non vuol più vedere. All’inizio sono preoccupati, ma non tanto per l’impatto che la presenza di un ospite potrà avere nella loro casa, bensì per il timore di essere inadeguati, di non essere capaci di comunicare. Poco a poco i nodi si scioglieranno e la famiglia (sì, la famiglia, perché finiscono per andare oltre una normale convivenza, come quando, se pur impacciati, trepidano nell’attesa del parto) sarà la prova evidente che i legami vanno oltre quelli di sangue, ricomprendendo il reciproco rispetto e un po’ di umano affetto.
Haruf è un grande scrittore, perché il rischio di cadere in una telenovela c’era, ma lui abilmente si è tenuto alla larga, da buon burattinaio che non si vede, ma di cui si intuisce la presenza, ha manovrato i suoi personaggi, ci ha fornito spaccati di vita vera con una serie di piccole storie che finiscono con l’intrecciarsi, con protagonisti che si ritroveranno poi anche negli altri due romanzi della trilogia. La lettura non stanca mai e procede naturalmente secondo il ritmo per lo più blando che l’autore ha impresso alla sua opera.
Così si arriva alla fine senza accorgersi, indubbiamente soddisfatti, ma anche dispiaciuti di non poter andar oltre; non c’è da preoccuparsi, però, perché ci sono ancora Benedizione e Crepuscolo, entrambi egualmente belli, anche loro ambientati a Holt, un luogo che sembra quasi magico perché lì la vita segue il ritmo delle stagioni, perché lì in fondo si vive veramente, perché in ogni azione e in ogni sentimento c’è il senso profondo di sapere in che consiste l’esistenza, in quella strada lungo cui si cammina dall’alba al tramonto, un destino comune che dovrebbe invogliare a soccorrerci, a darci una mano, proprio come fanno tanti personaggi di questa grande trilogia.
E’ un capolavoro, non aggiungo altro.
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Commenti
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Ho terminato da poco di leggerlo : mi è piaciuto, ma non quanto a te.
Indubbiamente esce un'immagine dell'America rurale ben diversa dallo stereotipo degli USA delle metropoli che spesso ci viene presentato.
Questa realtà m'è parsa piuttosto devastante : molto scadente la scuola (a cominciare dal preside), poi l'idea di 'farsi giustizia da sé', il teppismo, la madre che caccia di casa la figlia incinta...