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Deodato e Altea
«La sofferenza e l’ingiustizia sono sempre esistite. Con le migliori intenzioni, quelle di cui è lastricato l’Inferno, l’età moderna ha prodotto atroci pomate verbali che, al posto di curare, estendono la superficie del male e creano un’irritazione permanente sulla pelle dell’infortunato. E al suo dolore si aggiunge anche una nuvola di mosche» p. 22
Con “Riccardin dal ciuffo” Amélie Nothom ripropone la fiaba di Perrault per affrontare quello che è un po’ un vecchio cliché, ovvero, il tema dell’amore che insorge nel brutto ma intelligente e nella bellissima ma mediocre sino ad arrivare a trasformare ciò che esteticamente non piace in un qualcosa di irresistibile e viceversa.
Protagonisti dell’opera sono Deodato, figlio di Enide e del cuoco Onorato e sin dalla nascita sgraziato, orribile ma dall’intelligenza senza fine, e Altea, figlia di Rosa e Gelsomino, dai caratteri bellissimi ma da tutti considerata poco acuta, da tutti tranne che dalla nonna Malvarosa la quale vede nella piccola molteplici possibilità.
Nel rispettivo percorso di vita il duo è messo a dura prova dal crescere, ciascuno è sottoposto a scherzi brutali e atroci di quei coetanei che giudicano in base alle apparenze e/o si fanno divorare dall’invidia. Perché se il brutto suscita compassione, il bello irrita, disturba, incattivisce. Col passare degli anni, lui diventa ornitologo e lei modella di gioielli e d’alto borgo. La chiave della salvezza è quella via di mezzo dove una piacevolezza vaga non infastidisce nessuno. Il tutto conduce ad un epilogo caratterizzato dal lieto fine e dall’ottimismo, dalla speranza.
Magistralmente scritta e in perfetto stile francese, il componimento è una favola piacevole che si fa concludere in nemmeno una giornata. Non credo possa definirsi la testimonianza migliore con cui conoscere questa autrice ma sicuramente è un testo che favorisce la riflessione.
In conclusione; gradevole, non indimenticabile, poetico, novellato.
«Non ne sentiva un particolare bisogno. In questo, la sua condotta era estremamente nobile: l’amicizia non serve a colmare un vuoto. Nasce quando si incontra l’essere che rende possibile una relazione sublime. […] Se Deodato fosse stato un aspirante messia, avrebbe tradotto questo segno in termini di simbolo divino. Ma aveva la tendenza rara di vedere le cose per ciò che sono e di trovarle formidabili per questo.» p. 40-41
«Le persone intelligenti che non sviluppano questo accesso all’altro diventano, nel senso etimologico del termine, degli idioti: esseri centrati su sé stessi. L’epoca in cui viviamo rigurgita di questi idioti intelligenti, il loro simpatico club fa rimpiangere i bravi imbecilli di una volta. » p. 12
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Questa autrice però non fa per me.