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Parte del tutto
Joseph Wayne, un giovane agricoltore del Vermont, parte alla volta della verde e rigogliosa California, ove intende stabilirsi per iniziare una nuova vita.
Giunto a destinazione, Joseph avverte fin da subito un legame profondo, quasi mistico con la sua nuova terra, che abbraccia con tutti i sensi, e che giura a se stesso di proteggere, quasi fosse una donna bellissima (“It’s mine, and I must take care of it.”).
A pochi giorni dal suo arrivo in California, Joseph Wayne riceve una lettera dal Vermont, con la quale i suoi fratelli lo informano della scomparsa del padre. Lo sgomento di Joseph, però, si esaurisce nel giro di pochi istanti; egli, infatti, si convince ben presto che lo spirito del genitore risieda ora in un’imponente quercia, a lato della quale deciderà di erigere la propria fattoria.
Joseph farà ben presto la conoscenza di Juanito, un giovane di origini indiane, che gli sarà amico leale e sincero per l’intero arco della narrazione.
Un giorno, cavalcando assieme a Juanito, Joseph giunge in una radura lussureggiante e silenziosa, al centro della quale si erge imponente e misteriosa un’enorme roccia ricoperta da un generoso strato di muschio, che nasconde in parte una cavità frontale dalla quale sgorga un ruscelletto. La visita alla radura scuote l’animo di Joseph, che percepisce una strana atmosfera in quel luogo, un sentimento non meglio definibile.
Joseph viene raggiunto dai fratelli che, seguendo il suo esempio, si stabiliranno nelle verdi valli della California; oltre ai fratelli del contadino giunge in paese anche la bellissima Elizabeth, una giovane ragazza tanto semplice quanto raffinata.
Joseph se ne invaghisce e riesce ad averla in sposa dopo un breve e goffo corteggiamento.
Tornando a casa dopo le nozze, Elizabeth e Joseph vengono raggiunti a cavallo da Juanito, che confessa al giovane sposo di aver involontariamente ferito a morte Benjy, fratello di Joseph, avendolo sorpreso in intimità con sua moglie, non avendolo però riconosciuto, nell’oscurità, come il fratello dell’amico. La reazione di Joseph è tutt’altro che collerica: decide di proteggere Juanito, facendo apparire l’atto delittuoso come una tragica fatalità. Joseph vive con un certo distacco tutto ciò che è, per così dire, “secolare”. Niente è più importante del suo legame con la natura; egli è portato a mettere in relazione la morte del fratello (come qualsiasi altra cosa) con tale legame: come spiegherà in seguito, avere dei morti da piangere crea un legame indissolubile con il luogo ove essi sono sepolti (“It takes graves to make a place one’s own.”).
Questa è solo la prima di una serie di prove crudeli che la vita ha in serbo per Joseph, prove che lo porteranno lentamente a rendersi conto che il legame con la sua terra rappresenta il senso stesso della sua esistenza.
Infatti, quando un terribile periodo di siccità colpirà la sua valle, Joseph si renderà conto che la sua stessa vita è legata a quella della sua terra, e viceversa. Di più, egli si convincerà di essere tutt’uno con la natura che lo circonda.
Quando l’assenza prolungata di piogge porterà la misteriosa radura scoperta grazie a Juanito ad essere l’unica macchia verde nell’intera valle, Joseph vi si rifugerà, allo scopo di preservarla (“This is the heart of the land, and the heart is still beating.”), fino al tragico finale dell’intreccio, che travolgerà il lettore grazie alla sua potenza evocativa.
Una prosa magistrale, passaggi descrittivi di struggente bellezza, personaggi ben strutturati ed un protagonista indimenticabile, quasi messianico, fanno di questo romanzo un classico della letteratura americana da riscoprire; un autentico gioiello narrativo, che fa riflettere, emozionare e commuovere, e il cui tema principale è il rapporto tra l’uomo e la natura: Joseph Wayne ama profondamente la propria terra, e si rifiuta di abbandonarla, perfino quando le speranze di salvarla si riducono al lumicino; al fratello che lo invita a seguirlo verso una zona più ospitale, Joseph risponde: “Questa è la mia terra, ed io ho il compito di difenderla.”.
Questo romanzo dovrebbe servire a noi, donne e uomini del ventunesimo secolo, per meglio apprezzare la bellezza che il mondo mette a nostra disposizione, e per capire quanta scelleratezza sia necessario chiamare a raccolta per decidere di distruggere tale bellezza con le nostre stesse mani.
Come scrisse Don Henley in una meravigliosa canzone toccante questo stesso tema: “There is no more new frontier, we have got to make it here” (“Non c’è più alcuna nuova frontiera, dobbiamo salvarci qui ed ora”).