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Dimensione pubblica e privata nel concetto di dign
Stevens, l'impeccabile maggiordomo inglese al servizio di Lord Darlington, è il protagonista del magnifico romanzo di Ishiguro "Quel che resta del giorno". Il tema del viaggio, così caro alla letteratura anglosassone, dà forma ad una narrazione in prima persona, ricca di flash-back, che ci consegna un ritratto esaustivo del personaggio e mette l’accento sui punti di forza e di debolezza della cultura e della società britannica.
Al centro del romanzo è il concetto di dignità.
Dalla sua condizione particolare di maggiordomo, Stevens definisce la “dignità” con la “capacità di non abbandonare il professionista nel quale si incarna”. È la dimensione privata che viene soffocata e repressa per assolvere in modo impeccabile ai doveri professionali. Non manca, a questo punto, una considerazione severa sul comportamento e sulla attitudine di coloro che non appartengono al Regno Unito: “Gli europei non sono in grado di fare i maggiordomi, perché come razza non sanno mantenere quel controllo emotivo del quale soltanto la razza inglese è capace […..] in una parola, la dignità è qualcosa che trascende simili personaggi”. E qui è palese l’atteggiamento discriminatorio rispetto al continente del quale spesso i britannici hanno dimostrato di non sentire di fare parte.
Il tono di Ishiguro è qui sottilmente ironico come in molti altri brani del romanzo. Egli non risparmia infatti il personaggio dell’americano Mr Farraday, succeduto a Lord Darlington nella proprietà di Darlington Hall. Il nuovo padrone di Stevens non ha lo stile e il tratto del Lord inglese, tratta il maggiordomo con fare troppo confidenziale e grossolano. “Sono certo- dice Stevens- che egli stesse semplicemente dilettandosi in quel tipo di tono scherzoso che negli Stati Uniti è segno, non vi è dubbio, di una intesa corretta e amichevole fra datori di lavoro e dipendente, e alla quale ci si dedica come ad uno sport affettuoso.”
Con il procedere della narrazione assistiamo al graduale mutamento del personaggio Stevens, che, avvitato dapprima su se stesso in una situazione di ambiguità, si snoda verso una più chiara e definita posizione. Lo stesso concetto di “dignità” in lui così fermamente e indiscutibilmente radicato viene progressivamente riconsiderato alla luce degli eventi che mettono in discussione la personalità di Lord Darlington, offuscata dalle ombre cadute su di lui in seguito alle sue frequentazioni e al suo sospetto collaborazionismo con il nazismo. E sarà lo stesso Stevens a porsi in fondo il quesito se sia giusto adempiere fino in fondo ai propri compiti mantenendo un rigoroso riserbo, mettendo a tacere la propria coscienza, in breve soffocando la propria personalità, oppure reagire in nome di quell’onestà intellettuale che è parte integrante della coscienza. Qui entrano in collisione rigore e onestà, e ci si chiede quale etica debba prevalere, quella che ha sede nel mondo della libertà o quella pubblica che privilegia la forma rispetto al contenuto. Lo stesso Stevens darà una risposta tacita, nel momento in cui non considererà più punto d’onore l’avere servito Lord Darlington. Egli comincia a porsi degli interrogativi sin dal momento in cui impone a miss Kenton il licenziamento di due domestiche ebree. E sarà proprio il confronto con Miss Kenton a scuotere in fondo la sua coscienza troppo a lungo repressa. Sarà per lei che intraprenderà il suo viaggio, che si rivelerà un momento di crescita spirituale anche se avrà avuto luogo in quel tempo della vita in cui la luce sta per spegnersi.
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A me è piaciuto particolarmente l'ultima parte del testo, in cui il Maggiordomo porta saggezza di fronte alla sconsolata ex-collega che pensa sia stato un fallimento la propria vita, facendole osservare che nessuna vita è perfetta, tanto che lei riesce a recuperare parzialmente risorse per andare avanti serenamente.
Poi sul lungomare assapora , al tramonto, la dolcezza di 'quel che resta del giorno' . Come segno di cambiamento, però, cerca solo di imparare battute spiritose per il nuovo datore di lavoro.
Ritengo che la grandezza dell'autore si colga anche nel non aver forzato un poco credibile mutamento radicale del personaggio : basta così ; in quel momento della sua esistenza non sarebbe potuto andare oltre.
Anima che ha molto a che fare con la consapevolezza di quel che avrebbe potuto essere e non è stato: non come rimpianto, ma come coscienza necessaria a seguire fino in fondo, con dignità e e senza cedimenti la missione/vocazione che il destino ci ha assegnato. E', in parte, lo stesso tema affrontato nella "Solitudine dei numeri primi", che però qui è affrontato con una potenza ed una eleganza enormemente superiori a quelle di cui Paolo Giordano è stato capace.
Non a caso, proprio le vertigini emotive che si nascondo dietro la parola detta o scritta sono tra le principali motivazioni dell'assegnazioni del Nobel a Ishiguro.
Un caro saluto
Pierpaolo
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