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“C’è qualcuno là fuori?”
Profondo è il senso di solitudine e d'impotenza dinanzi alla ineluttabilità del tempo che trasmette la storia di Mrs Bridge. Una storia, in verità, di ordinaria quotidianità, una come tante, ben lontana dai clamori e dai colpi di scena eclatanti. Senza infamia e senza lode, potremmo forse aggiungere.
Pubblicato negli Stati Uniti alla fine degli anni Cinquanta, il libro racconta, sullo sfondo dell’America dei decenni precedenti, la vicenda di una donna che da figlia diventa moglie e madre seguendo i normali e prevedibili percorsi della vita. Una grande casa, un marito avvocato per lo più assente e tre figli a cui consacrare, con amore e forte senso del dovere, ogni singolo istante delle proprie giornate sempre così piene, ma in realtà vuote di qualcosa difficile da spiegare. Così trascorrono gli anni, all’inizio lenti, poi via via sempre più impietosi, senza che lei riesca per davvero a trovare tempo per se stessa; non bastano i cocktail e feste varie, gli incontri con le amiche, le attività nel sociale a dare un senso al quotidiano vivere; e l’incosciente consapevolezza di appartenere a quella categoria di persone che esistono senza aver vissuto (“ignare fino all’ultimo della vita”) si rivelerà infine un peso decisamente opprimente da sopportare. È vero: di una donna come questa potremmo essere figli, così come in ogni giovane donna c’è una potenziale signora Bridge.
Quest’opera di Evan S. Connell è un buon romanzo dallo stile narrativo semplice e dal contenuto denso di significato. Il mio giudizio complessivo è di tre stelle e ½, poiché diversi capitoli risultano forse troppo lenti e poco coinvolgenti e la stessa Mrs Bridge, con quel suo modo di pensare d’altri tempi e – impossibile non notarli – quegli atteggiamenti un po’ razzisti e classisti (secondo i quali i neri si possono frequentare solo entro certi limiti e la porta sul retro deve essere riservata alle donne di servizio), a tratti non si rende troppo apprezzabile, tant’è vero che sono anzitutto i figli a mal sopportarla. La storia, nel suo complesso, genera però riflessioni e interrogativi che nessuno credo possa eludere e in questo consiste la forza del romanzo. La penna dell’autore è stata abile ad allargare, a piccole ma inesorabili dosi, il baratro del vuoto interiore in cui spesso si precipita, a far esplodere d’improvviso l’inquietudine di fronte a certi atteggiamenti incomprensibilmente estranei da parte di chi si crede di conoscere bene e invece non si conosce mai fino in fondo, a dipingere una sorta di grigiore che si nutre di noia, solitudine, insoddisfazione e infelicità mai confessate a cui la vita sembra rassegnarsi per inerzia, fino a quello sconsolato e sconsolante “C’è qualcuno là fuori?” della scena finale…
Veramente tremendo rendersi conto del fatto che, pur essendoci sempre stati per gli altri, anche a scapito di noi stessi, nessuno alla fine ci sarà per noi.
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