Dettagli Recensione
La famiglia Leibovitz.
Terzo e ultimo romanzo di Jan Philipp Sendeker dedicato alla Cina, “Alla fine della notte” è un testo che narra le avventure della famiglia Leibovitz.
Paul Leibovitz, si trova a Shi, nel Sichuan, per concedersi una siesta dall’afa e dalla caoticità di Hong Kong e per far visita all’amico di vecchia data Zhang, ex poliziotto che ha lasciato il posto di lavoro per seguire completamente quella fede buddhista che tanto lo aveva reso oggetto di vessazioni negli anni di servizio. Con il protagonista sono presenti Christine, seconda moglie dell’uomo, nonché David, di anni quattro, figlio della coppia. A causa della morte del primo figlio Justin, il rapporto con la prima consorte è andato a deteriorarsi completamente tanto da comportarne la separazione.
Accade tutto per caso, il tempo di una tappa al bagno e il piccolo David scompare. Qualcuno lo ha sottratto dal passeggino del padre, qualcuno lo ha rapito, ma perché? Dopo alcune ore di panico incessante, il piccolo viene ricondotto dai genitori con un avvertimento chiaro e inequivocabile: la famiglia dovrà fuggire quanto prima, David è stato preso di mira da uno dei clan più forti del paese tanto a livello economico che politico e sino a che non avranno ottenuto il loro “regalo” (si, il piccolo non è altro che un oggetto da donare per assecondare un vizio), non li lasceranno in pace.
Ogni minuto, ora e secondo diventa essenziale per la sopravvivenza stessa. Sono persone senza scrupoli quelli che li stanno cercando, la loro unica possibilità è quella di raggiungere Pechino e di cercare asilo presso l’ambasciata. In questa fuga disperata, una prima forma di riparo gli verrà offerta da Lou e dal nipote dodicenne Da Lin. Ma sarà solo una soluzione provvisoria, una soluzione, tra l’altro, caratterizzata da un epilogo non molto piacevole. Il viaggio riprenderà e sarà costellato da molteplici pericoli e paure. Di chi fidarsi? Come riuscire a fuggire in uno stato consumato, corrotto e danneggiato dall’interno?
Attraverso un linguaggio fluente ma sintetico, composto cioè da periodi brevi, concisi e ben definiti sia dal punto di vista del narrato che da quella del narrante, l’autore dà vita ad un elaborato che a prescindere dall’evoluzione dei fatti, riesce a descrivere in modo accurato la realtà di uno stato arrabbiato, povero, al limite. Uno stato dove violenza, denaro, depravazione, povertà, soprusi, sono le colonne portanti, sono legge. E a farne le spese sono sempre i più deboli, gli emarginati, coloro che la società rifiuta, deplora, dimentica. Questo è sicuramente il vero e più grande valore dello scritto presentato.
Dal punto di vista emotivo, l’opera non manca di arrivare, ma rispetto alle precedenti pecca di mancanza di pathos. Lo scrittore fa troppo per ricercarlo, si concentra eccessivamente su quelli che sono gli aspetti sentimentali senza rendersi conto che tende a sfiancare, a risultare ripetitivo e a far perdere di valore a una storia che già in partenza non brilla di originalità. Avrebbe ottenuto lo stesso risultato con molto meno. Non solo, lo scritto fatica a partire, risultando, soprattutto nella sua prima parte, alquanto lento, farraginoso. Talché nonostante i periodi brevi e la facilità di lettura per l’adozione di un linguaggio volutamente descrittivo – troppo descrittivo – e sciolto, “Alla fine della notte”, convince ma soltanto a metà.
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Commenti
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Peccato che il romanzo ti abbia convinta solo a metà...