Dettagli Recensione
Il calore del freddo...
La storia la conosciamo tutti...è cronaca, nera.
Il 16 Novembre del 1959, ad Holcomb, in Kansas, la famiglia Cuttler (padre, madre e due dei loro quattro figli) viene brutalmente uccisa, nella loro casa, apparentemente senza motivo...per soli 40$.
Questo il valore delle loro vite...10 miserabili dollari a testa.
Dick Hickock e Perry Smith sono due balordi appena usciti di galera, dediti principalmente ai furti e alle truffe...due animali feriti in cerca di una vendetta, di un riscatto sulla vita, di un qualcosa che li porta a diventare due criminali spietati, privi di coscienza, rimorsi...completamente estranei al pentimento.
Il percorso di due ragazzi fondamentalmente infelici, che trasformano la sofferenza in violenza, che si trasformano da ladri in assassini.
Ma in fondo "anche uccidere è rubare...rubare la vita".
Un percorso che, inevitabilmente, li metterà "all'Angolo", per sempre.
Ho chiuso il libro con una grande angoscia, un peso enorme sul petto, perché quello che ho trovato dentro queste pagine è di una ferocia agghiacciante, da qualunque angolazione si guardi.
E il primo pensiero è stato...ma se io, solo per averlo letto, provo questo forte senso di svuotamento, cosa ha provato Capote nello scrivere?
Quanto gli sarà costato in termini di coinvolgimento emotivo, di energia mentale, di "umanità"?
Sei lunghissimi anni perennemente dentro questa storia, nei suoi dettagli, a frugare nella testa degli assassini, nella loro vita, nel loro passato...
E nonostante questo riuscire a rimanerne "fuori"...Capote c'è ma non si vede, non si schiera, non giudica...fa parlare la storia.
Lui è con le vittime, ma anche con gli assassini...ce li mostra, ci obbliga a guardare dove non siamo abituati a posare lo sguardo.
Non c'è giustificazione per loro, ma volontà di capire, di sapere cosa c'è dietro, cosa c'è stato prima, cosa li ha "guastati" e perché.
Inutile negare che la figura di Perry sia predominante, più complessa, piena di sfaccettature, contraddizioni, dolore...quasi Capote abbia rivisto in lui parte di se stesso, della sua infanzia, delle sue privazioni affettive.
E con occhio tremendamente lucido penetra nelle menti disturbate di chi è capace di farsi una grassa risata pochi minuti dopo essere stato condannato a morte.
Una risata, l'ultima.
La forza di questo libro sta, forse, nel metterci tutti sullo stesso piano...innocenti, colpevoli, morti, assassini...perché potremmo essere noi, ora in una veste ora in un'altra, a seconda di quanto la vita abbia deciso di darci o di toglierci.
Amiamo i Cuttler, ma non troppo...troppo "perfetti" per amarli.
Odiamo gli assassini, ma non troppo...troppo "imperfetti" per odiarli.
Capote, insomma, ci destabilizza, ci toglie le nostre tanto amate certezze.
A metà strada tra reportage giornalistico e romanzo: ha la lucidità e il distacco del primo, ma la narrazione, il ritmo e i dialoghi del secondo.
Perfettamente in equilibrio nelle sue parti.
Perfettamente in equilibrio.
Perfettamente.
P.s.: Le pagine dedicate alle "celle della morte" e all'esecuzione per impiccagione sono state, per me, le più dure, le più difficili...mi hanno riportato alla mente "Il miglio verde", ed oggi ho compreso anche (probabilmente) l'omaggio di King a Capote...con il detenuto e il topolino (qui scoiattolo).
Bellissime contaminazioni letterarie.
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Commenti
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Ho letto di recente il libro e concordo perfettamente con quanto scritto.
Un libro che è un bel pugno nello stomaco, ma davvero interessante, soprattutto per come è scritto. Raccontando, senza giudicare.
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E' la prima volta che leggo una recensione tanto appassionata su questo libro... lo metto subito tra i desiderata! Grazie! :)