Dettagli Recensione
un uomo relegato da se stesso
Non trarre delle riflessioni dalle opere di Dostoevskij è un'impresa praticamente impossibile. Il russo è uno dei letterati più ispirati e profondi di tutti i tempi, che indaga l'animo umano fino ai suoi recessi più oscuri e anche oltre, portando il lettore a interrogarsi su varie sfaccettature esistenziali.
Riguardo allo stile di un autore del genere, ritengo sia superfluo soffermarsi, anche se in parte è chiaro che questa è l'opera che fa da apripista alle più importanti che seguiranno.
Questo libro è una specie di monologo, una confessione divisa in due parti. Nella prima, il nostro protagonista ci espone il suo modo di vedere le cose; è un uomo che si è ritirato nei recessi della società, nel sottosuolo, perchè non in grado di vivere in pace con essa. Egli si considera superiore agli altri ma allo stesso tempo si rende conto di quanto la sua condizione miserevole sia dovuta solo e soltanto a sé, alle sue paranoie e al suo esasperare qualsiasi cosa. Eppure, in alcune delle sue riflessioni si scorgono dei tratti di profonda verità, ma il suo portarle all'estremo non gli permetterà di vivere una vita serena, bensì lo relegherà nell'angolo più oscuro di quel mondo che tanto disprezza.
Nella seconda parte del libro verremo a conoscenza di un racconto della durata non superiore ad un paio di giorni, un racconto in cui questo essere abietto viene fuori in tutte le sue sfaccettature, brillando di un'incoerenza spaventosa ed esasperante. Venire a contatto con una tale personalità diventa addirittura opprimente, e assistere alla sua scostanza e alla sua incapacità di vivere in società risulta ripugnante per la maggior parte del tempo. Egli non sa rapportarsi, non sa mantenere un rapporto amicale, non sa amare; in tutto vede un'offesa alla sua persona, o quantomeno una mancanza di considerazione. Per lui, gli altri non gli attribuiscono il valore che merita, quando a conti fatti anche lui disprezza se stesso.
Dostoevskij ci porta davanti agli occhi l'apoteosi dell'asocialità, della superbia, della scarsa fiducia in sé stessi celata in una maschera di sicurezze ostentate, ma in fin dei conti fasulle.
Il protagonista guarda il mondo con disprezzo, ma in fondo al cuore vorrebbe farne parte. A causa del suo temperamento e del suo carattere impossibile non riuscirà mai a farne parte, rassegnandosi(in teoria ma non in pratica) a vivere per sempre in quel sottosuolo.
"Ora poi concludo l'esistenza nel mio angolo, stuzzicandomi con la rabbiosa e del tutto inutile consolazione che una persona intelligente non può nemmeno diventare seriamente qualcosa, ma diventa qualcosa solo chi è stupido."
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Penso proprio che l'Autore, come dici tu, sia uno dei più profondi dell'intera Letteratura.
Ti segnalo "Il giardino dei Cosacchi" del grande scrittore di "Anime baltiche", l'olandese Brokken, in cui è centrale l'esperienza siberiana di Dostoevskij che diede vita al libro recensito. Lettura parecchio interessante in quanto ricavata dalle carte di un amico che si trovò in Siberia e strinse una profonda amicizia col grande Russo quando questo aveva già scontato la parte più dura della detenzione (lui era là in tutt'altro ruolo).