Dettagli Recensione
Uhm
Bjorn Hansen, cinquantenne, è un uomo dal passato e dalla vita sentimentale molto movimentati. Diciotto anni prima, infatti, ha abbandonato la moglie e il figlioletto di appena due lustri, per seguire l’amante, Turid Lammers, in Kongsberg, una cittadina sita al centro della Norvegia, e più precisamente, ubicata sul fiume Lagen, corso d’acqua che serpeggia elegante attraverso tutto l’abitato e dividendola in due sezioni; una Nuova ed una Vecchia. Impiegato al Ministero e con una proficua e certa carriera da funzionario davanti, dopo un breve periodo quale pendolare, lascia poi l’impiego per abbracciare un nuovo lavoro, quello di esattore delle tasse nell’odierno indirizzo di residenza. E questo nuovo incarico, sembra persino migliore del precedente più prestigioso e redditizio, agli occhi della compagna. Ormai radicato nel comune, l’uomo si avvicina anche al teatro dove inizia una collaborazione sempre più stringente, ma di poco successo, con la compagnia dove l’ex amante – ora fidanzata/moglie ufficiale – a sua volta presta la sua arte. Trascorsi altri 14 anni, la passione, che già da tempo si era affievolita e che era destinata a venire meno sin dal principio, definitivamente si spegne.
Arrivati al presente, ritroviamo ora Bjorn felicemente solo ed in procinto di portare avanti una stringente frequentazione col Dottor Schiotz, medico con il quale discute non solo di vita e di patologie ma anche di un’idea, un’idea alquanto strana e fuori dalle righe che da qualche tempo gli albeggia in mente….
Non mancherà, ancora, di riapparire, Peter, il figlio, che non tarderà a portare nella quotidianità del protagonista, sprazzi, di quella paternità rinnegata, rifiutata, rifuggita. Dubbi, paure e perplessità, si paleseranno nell’intimo del cinquantenne, il quale, di fronte a questa convivenza forzata non potrà non domandarsi il perché di certi comportamenti dell’ormai adulta prole. E tra senso di fallimento, rievocazioni del passato (tra cui, la messa in scena de “L’anitra selvatica” di Ibsen), insoddisfazione, smarrimento e perplessità, non resterà che compiere un gesto estremo necessario e finalizzato a mettere un punto su quello che è il dramma della propria vita. Ma qual è la verità? E’ davvero possibile redimersi? Indossare dei nuovi panni, liberandosi, di quelli fino ad ora indossati? E’ possibile abbandonare la propria maschera e capire quale abbiamo davvero fino ad ora vestito?
Con “Romanzo 11, libro 18”, Dag Solstad offre al lettore un testo diverso dal solito, introspettivo e riflessivo negli intenti, ma che, sinceramente convince a metà. Seppur sia un elaborato di appena 187 pagine (formato Iperborea, quindi 90/100 in qualsiasi altro), esso si fa percepire come un volume ricco di contenuti, contenuti che però indugiano, faticano, temporeggiano ad arrivare tanto che chi legge a più riprese si interroga sullo scorrere degli avvenimenti ma anche sulle incongruenze del protagonista stesso. Perché, a voler essere del tutto sinceri, per quanto l’avventuriero cerchi di catapultarsi nella mente di Bjorn, per quanto cerchi di entrarvi in empatia, proprio non ci riesce giacché taluni suoi comportamenti, alcune sue scelte, risultato inspiegabili ed irreali. Se a questo si somma una narrazione lenta, che segue le fila di una sorta di monologo tra presente e passato con delineazione quasi teatrale, mixato per di più a delusioni e insuccessi, non stupirà la crescente perplessità che resta al termine del componimento.
In conclusione, titubante, irrisoluto, dubbioso.
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E pensare che, dell'autore, mi era piaciuto "Timidezza e dignità".