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Leviatano
 
Leviatano 2017-09-09 16:31:31 viducoli
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
viducoli Opinione inserita da viducoli    09 Settembre, 2017
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Dottor Jekyll e Mr Hyde scrittori a New York

“I libri sono oggetti misteriosi […] e una volta che cominciano a circolare può succedere di tutto. Possono causare misfatti di ogni genere, senza che tu possa farci un accidente di niente.” È questa una delle prime sentenze di 'Leviatano', romanzo di Paul Auster pubblicato originariamente nel 1992 ed in Italia nel 1995 da Guanda. È proprio vero: può infatti succedere che nella successiva edizione Einaudi (2003), ci si imbatta nella prima pagina del romanzo in questa frase: ”Il passo successivo sarebbe dovuto essere il rilevamento delle impronte digitali, ma in questo caso non c’è n’erano dal momento che le mani dell’uomo erano state completamente distrutte dalla bomba.” Lo strafalcione grammaticale e mezzo contenuti in questa singola frase segnalano plasticamente uno degli aspetti più negativi di questa edizione del romanzo: la generale sciatteria della traduzione di Eva Kampmann, accompagnata da non infrequenti errori di battitura: se si può essere indulgenti nel caso di volumi pubblicati da Club del Libro, credo che una traduzione come questa – acquistata in blocco da Einaudi dalla precedente edizione italiana del romanzo – sia indegna di quella che dovrebbe essere la più prestigiosa casa editrice italiana, perché di sicuro non contribuisce a farci conoscere davvero un autore ed un libro certamente – pur con tutti i limiti che personalmente attribuisco loro – importanti.
'Leviatano' è la storia dello smarrimento dell’intellettualità radicale statunitense, e newyorkese in particolare, nel periodo cruciale che ha segnato la fine delle utopie libertarie degli anni 60/70 del secolo scorso e il successivo trionfo del neoliberismo, incarnato negli Stati Uniti dalla presidenza di Ronald Reagan.
Auster ci narra questo periodo in maniera scopertamente autobiografica, scindendosi in due personaggi: Peter Aaron, la voce narrante, e Benjamin Sachs, il suo migliore amico, entrambi scrittori.
Il libro, sapientemente costruito, inizia il 4 luglio del 1990, con la lettura sul giornale da parte di Aaron – ormai scrittore affermato – della notizia che un uomo pochi giorni prima si è fatto saltare in aria con una bomba sul ciglio di una strada. La polizia non conosce l’identità dell’uomo, del cui corpo sono rimasti pochi brandelli, ma Aaron si convince subito che si tratti di Ben, di cui da tempo non ha notizie. Il suo convincimento diviene certezza quando, pochi giorni dopo, l’FBI si reca a casa sua: nel portafoglio della vittima è stato trovato un biglietto con le sue iniziali e il suo numero di telefono. Aaron non parla di Sachs alla polizia ed inizia a scrivere la storia della sua amicizia con lui, per ”…spiegare chi era e raccontare la verità sul perché si trovava su quella strada del Wisconsin del Nord”, in modo da contrastare false ricostruzioni e la distruzione di una reputazione ad opera dei media quando si conoscerà l’identità della vittima.
Aaron sa che per raccontare la vita di Sachs dovrà scavare anche nei momenti difficili e dolorosi nella propria, essendo le loro storie strettamente intrecciate, ma sa anche che lo deve fare, in memoria dell’amico.
Inizia quindi un lunghissimo flashback, che ci riporta all’inverno del 1975, quando i due, giovani squattrinati che ambiscono ad affacciarsi sulla scena culturale di New York, si conoscono ad un reading nel Village e divengono immediatamente amici. Capiscono subito di avere una forte comunanza di interessi intellettuali, anche se apparentemente sono diversissimi: tanto normale nell’aspetto si intuisce sia Peter Aaron quanto stravagante, o meglio conforme allo spirito dei tempi, Ben: alto ed eccessivamente magro, si presenta al reading con lunghi capelli e barba, cappottone tarlato, berretto da baseball e sciarpa annodata lungo il viso per proteggere le orecchie dal freddo: ”sembrava uno con un terribile mal di denti, pensai, oppure un soldato russo mezzo morto di fame abbandonato nei dintorni di Stalingrado.” Le differenze non sono però solo fisiche: Sachs ha pubblicato pochi anni prima un romanzo storico, Il nuovo colosso, che ha suscitato un acceso dibattito ed è stato accusato dalla critica conservatrice di antiamericanismo, mentre Aaron ha al suo attivo solo alcuni racconti e traduzioni; Sachs ha però ormai abbandonato la narrativa, che per lui non ha più senso, per dedicarsi a un eclettico lavoro di saggistica, mentre Aaron è in procinto di scrivere un romanzo; Sachs è uno scrittore instancabile, cui le pagine escono di getto, mentre Aaron scrive soffrendo la pagina; Sachs è stato in galera per avere rifiutato l’arruolamento nella guerra del Vietnam, mentre Aaron è stato riformato, avendo potuto così evitare di mettere alla prova i suoi ideali; Sachs si è sposato molto giovane, mentre Aaron è al momento ancora scapolo. Per molti versi i due sono quindi l’uno il negativo dell’altro, si completano a vicenda, e nel corso del romanzo apparirà sempre più chiaro a mio avviso che mentre Aaron rappresenta la faccia ufficiale di Auster, quella a cui attribuisce – sia pure in forma cifrata – il proprio nome e molti degli avvenimenti reali della sua vita, Ben incarna il suo lato oscuro, ciò che avrebbe potuto essere se fosse stato più radicale, ciò che avrebbe potuto divenire se avesse letto con maggiore coerenza la realtà che lo circondava e se il caso – elemento sempre presente nelle vicende umane che Auster ci racconta, soprattutto nella prima fase della sua produzione letteraria – avesse deviato la sua esistenza verso altri lidi. Azzardando un confronto letterario, nelle figure di Peter e Ben ho ravvisato una sorta di riproposizione da parte di Auster del dualismo Jekyll-Hyde, riferito alla personalità artistica dell’autore.
Il legame tra i due si annoda anche per alcuni imperscrutabili segni del destino: su tutti il fatto che Aaron aveva conosciuto la moglie di Ben, Fanny, ai tempi dell’università, innamorandosi di lei nonostante avesse notato la fede al dito. Nel corso della storia, nella quale le vicende sentimentali ed erotiche dei protagonisti giocano una parte non secondaria, Aaron avrà una relazione con Fanny: Ben tuttavia accetterà il tradimento da parte dell’amico, che si era spinto sino a chiedere a Fanny di lasciare il marito per sposarlo, proposta che comunque Fanny rifiuta, troncando presto la relazione. In un colloquio chiarificatore Ben arriverà a dire che ciò che è successo è stato un bene, perché ha ridato a Fanny fiducia in sé stessa. Credo che anche in questo episodio e nella sua soluzione si possa ravvisare, in trasparenza, la sostanziale identificazione tra i due personaggi.
I primi due dei cinque lunghi capitoli in cui il romanzo è suddiviso narrano dei primi anni dell’amicizia tra i due, tra il 1975 e il 1980 e, come spesso nei suoi romanzi, Auster è estremamente preciso e puntuale nel registrare i tempi e i luoghi dello svolgimento delle vicende che narra. Durante questi cinque anni la vicenda si incentra prevalentemente su ciò che accade a Peter (che in gran parte coincide con ciò che accadde all’autore): le ristrettezze economiche, il primo matrimonio e la nascita del figlio David, il divorzio, la vita da nuovo scapolo sessualmente vorace, i primi successi letterari accompagnati da una nuova stabilità economica, il secondo matrimonio. Risalgono a questo periodo la relazione con Fanny ma anche l’entrata in scena di due personaggi chiave per il prosieguo della vicenda: Maria Turner e Lillian Stern. La prima è una giovane artista della scena off newyorkese, le cui opere accoppiano fotografia e testi, nella cui figura Auster ritrae la sua amica e collaboratrice Sophie Calle; la seconda è una stravagante amica di Maria. Peter diverrà per due anni l’amante, o meglio l’alleato sessuale di Maria, e tramite lei verrà a conoscere la storia di Lillian.
Dal terzo capitolo Ben ridiventa il protagonista assoluto. Questa parte del libro si apre con l’inizio dell’era Reagan,ed in una bella pagina Auster riassume efficacemente il drastico cambio di clima politico ed intellettuale che gli USA subirono all’epoca. Mentre Peter è ormai uno scrittore affermato ed inserito, Ben viene sempre più marginalizzato, raggiungendo un pubblico sempre minore. Un grave incidente lo porta ad isolarsi sempre più dal mondo, sino a rompere unilateralmente il solido legame con Fanny. Peter, preoccupato per la deriva dell’amico che dichiara di non voler più scrivere, fa in modo che la sua agente letteraria richieda a Ben di riunire in volume i suoi articoli, e questo sembra ridargli fiducia: si rinchiude per mesi in una casa isolata nel Vermont dove inizia anche un nuovo romanzo, che pensa di intitolare 'Leviatano', le cui prime pagine – lette da Peter durante una visita – fanno presagire il capolavoro.
Un giorno però ”…all’improvviso la terra lo inghiottì.” Ben scompare misteriosamente, lasciando la casa aperta e nella macchina per scrivere la pagina che stava scrivendo. Per quasi due anni nessuno ha notizie di lui. Quando improvvisamente riappare, nella casa nel Vermont ora utilizzata da Peter per scrivere, gli racconta le sue incredibili vicende, svanendo ancora nel nulla dopo pochi giorni.
Un tragico e casuale evento ha determinato il drammatico sviluppo della vicenda umana di Ben, con il concorso determinante prima di Maria Turner poi di Lillian Stern. Nei due capitoli finali del libro seguiamo quindi, sempre attraverso il racconto di Peter, gli ultimi due anni di vita di Ben, quelli che lo hanno portato dalla possibilità di ricominciare a scrivere alla tragica fine, e il libro si chiude nel momento in cui, visto che l’FBI ha ormai identificato il morto del Wisconsin e ricostruito parzialmente la sua vicenda, Peter gli consegna il manoscritto che ha appena terminato, e che ha chiamato Leviatano.
Come ho detto all’inizio, 'Leviatano' è un libro importante; forse però sarebbe meglio definirlo ambizioso, perché ad esso Auster consegna la sua ambizione di fare i conti con il suo ruolo di intellettuale in un periodo in cui sono stati spazzati via gli stessi paradigmi sociali e culturali su cui si basava l’intellettualità statunitense della sua generazione, nel momento in cui l’intelligencija artistica cui appartiene si rende conto di non rappresentare più il sentimento culturale e politico dominante. Per esemplificarci questa crisi Auster si sdoppia narrandoci, tramite il personaggio di Ben, cosa gli sarebbe potuto accadere se per lui le cose fossero andate diversamente, se avesse rifiutato di entrare nei meccanismi del sistema e gli imperscrutabili meccanismi del caso avessero agito diversamente. I due partono appaiati, e come detto si completano a vicenda. Poi, soprattutto dopo la data simbolica dell’elezione di Reagan, alla progressiva conquista della sicurezza sociale ed economica di Peter fa da contraltare la caduta progressiva di Ben, generata essenzialmente dal suo essere incapace di adattarsi al nuovo clima. Ben si concede comunque una possibilità, prova a risalire la china tuffandosi nella lotta intellettuale contro il Leviatano, ma nel momento in cui le 'sliding doors' dell’imprevisto glielo impediscono si ritrova risucchiato in un vortice che lo porta inevitabilmente all’autodistruzione. Il fallimento nel suo ruolo di artista civile lo porta a cercare una illusoria compensazione attraverso la distruzione del simbolo sommo della stessa identità statunitense.
Austen è scrittore indubbiamente dotato, e condisce la sua storia con una serie di richiami metaforici (su tutti quello alla Statua della Libertà come simbolo stesso dell’America, simbolo che torna puntualmente nei momenti chiave del racconto) e alla realtà dell’epoca narrata, utilizzando uno stile di scrittura giornalistico e ossessivamente preciso quanto a tempi e luoghi, nel quale l’unica vena di sperimentalismo è lasciata all’improvvisa intrusione nel racconto indiretto in prima persona di lunghi dialoghi diretti senza interruzioni; conferisce inoltre realismo alla vicenda ispirandosi direttamente, per alcuni personaggi, a parenti, amici o protagonisti della cronaca nera dell’epoca.
Il romanzo presenta però a mio avviso anche degli evidenti limiti quanto a capacità di trasmetterci davvero il clima intellettuale di un’epoca e il suo repentino mutamento, essendo forse troppo ripiegato sull’autocompiacimento dell’autore per il meccanismo della storia e per la sua abilità nel raccontarcela. L’elemento politico del libro, che – come molti passi del romanzo confermano, a partire dalla scelta del titolo – era sicuramente uno dei piani che l’autore intendeva sottolineare, tende di converso a rimanere sottotraccia, facendo a mio avviso perdere forza complessiva alla storia, declassandola a oscura vicenda esistenziale: la vita di Benjamin Sachs non ha senso se non nel contesto sociale e culturale in cui è immersa, ma siccome questo contesto non emerge con sufficiente chiarezza e sembra quasi dato per scontato, come se la storia fosse raccontata a chi quel periodo l’ha vissuto facendo parte della (ristretta) cerchia cui anche l’autore appartiene, il rischio è quello di non riuscire a comprenderla appieno.
Se la chiave di lettura che ho cercato di fornire è plausibile, allora il romanzo può essere letto anche un tentativo di autoassoluzione di Auster per il suo essere ormai ingranaggio del sistema che critica: è come se ci dicesse che non ci sono alternative a scendere a compromessi, che scelte diverse lo avrebbero portato all’annientamento di sé e della propria voce intellettuale, ad un metaforico sbrindellamento del suo io sul ciglio di una strada del Winsconsin del Nord.

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20 Dicembre, 2019
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gentile Viducoli,
mi fa piacere che la mia sciatteria l'ha fatta arrivare fino in fondo al romanzo. Magari, se ha voglia di rileggerlo, si procuri una copia della vecchia edizione Guanda, dove nella prima pagina c'è scritto "ce n'erano" e non "c'è n'erano". Non ho avuto modo di rivedere le bozze Einaudi, quindi non posso darle una spiegazione.
Buone letture
Eva Kampmann
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