Dettagli Recensione
Una storia che resta impressa
“Per te questo ed altro”, gridò Hassam, rivolgendosi ad Amir nella gelida giornata invernale del 1975, in cui tutto cambiò.
Il cacciatore di aquiloni è il primo romanzo scritto da Khaled Hosseini, uno straordinario caso editoriale presto tradotto in più di trenta Paesi.
In Italia ha venduto quasi due milioni di copie, un successo spontaneo e inatteso che ha portato la critica a definirlo il “miracolo del passaparola”.
Khaled Hosseini nasce nel 1965 a Kabul, in Afghanistan, quinto di cinque fratelli, figlio di un'insegnante e di un diplomatico.
Con l’arrivo dei Russi, ottiene asilo politico negli Stati Uniti trasferendosi con la famiglia a San José, in California, dove tuttora vive con la moglie e i suoi due figli.
Laureato in medicina, nel 2004 pubblica il suo romanzo d’esordio, Il cacciatore di aquiloni che riscuote molto successo. Nel 2007 dà alle stampe Mille splendidi soli e infine, a diversi anni di distanza, esce il suo terzo libro E l’eco rispose.
Il cacciatore di aquiloni racconta la storia di Amir, Hassan e quella di un popolo, quello afghano; fondato su tradizioni, come quella del volo degli aquiloni, e su valori, quali l’onore, l’orgoglio e il coraggio. Un popolo d’altronde invaso e profanato di tutte le sue bellezze dalla cattiveria dell’uomo.
Amir, il protagonista, all’età di 13 anni, si fa carico di una colpa terribile in uno stretto vicolo di Kabul, il cui senso di colpa lo affligge da ormai 26 anni nonostante il suo trasferimento negli Stati Uniti.
Tale angoscia lo avrebbe continuato a tormentare se non fosse stato per la telefonata di un caro amico, il quale gli confida un modo per tornare ad essere buoni e porre fine al rimorso.
Il romanzo ha inizio con il flashback di Amir che, ormai trentanovenne, narra le vicende della sua vita a Kabul in compagnia del suo inseparabile amico, nonché servo hazara Hassan.
Anche le cose belle che sembrano essere destinate a durare per sempre hanno però una fine, così come l’amicizia di Amir e Hassan. Infatti i due ragazzi, a causa della guerra, sono costretti a non rivedersi mai più per seguire strade differenti che li porteranno lontani dalla loro città natia.
Un legame così profondo non può non avere ripercussioni sul futuro, infatti Amir torna a Kabul 26 anni dopo quando viene a conoscenza dell’esistenza di un bambino, figlio di Hassan, chiuso in un orfanotrofio. Il protagonista decide quindi di sottrarlo dagli abusi sessuali a cui sono sottoposti gli orfani di Kabul, ad opera dei talebani che occupano la capitale afghana.
Coloro erano stati ritenuti dal popolo veri e propri liberatori dopo la cacciata dei mujaheddin, i quali in passato avevano sottratto il potere dalle mani dei sovietici. Poco tempo passò prima che gli stessi applicassero nel Paese un regime basato sulla Sharia che riversò l’Afghanistan in condizioni di assoluta povertà e degrado.
La maggior parte della narrazione è costituita dal flashback del protagonista e arricchita da numerose prolessi o flashforward che introducono avvenimenti, spesso negativi, che devono ancora verificarsi.
Il linguaggio è chiaro, scorrevole e ricco di descrizioni, le quali sono focalizzate sull’aspetto esteriore dei personaggi mentre quasi completamente assenti sulla caratterizzazione psicologica degli stessi.
Tale accuratezza si riscontra anche nella descrizione dei luoghi, tradizioni e usi e costumi afghani; il che ha suscitato in me notevole interesse per questo popolo la cui nomea oggi è legata esclusivamente alla guerra che lo ha afflitto e continua a farlo.
Nonostante la narrazione in prima persona permetta di stabilire un’empatia con il protagonista e captare le sensazioni da lui stesso provate, un narratore esterno avrebbe fornito una visione più ampia sulle vicende descritte e una maggiore caratterizzazione psicologica degli altri personaggi coinvolti.
Dai vari temi proposti da Khaled Hosseini ne Il cacciatore di aquiloni, il messaggio da me particolarmente percepito è che la risoluzione ai sensi di colpa dovuti ad un errore commesso, non si ottiene con il trascorrere del tempo, bensì dal riscatto, anche indiretto, del male conferito.