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Quando il ricordo è tutto ciò che ci rimane
Un anziano scrittore si aggira malinconico per le strade di una Parigi dai contorni incerti, sbiaditi, nel tentativo di mettere ordine tra alcuni confusi ricordi di gioventù, di cui è rimasta traccia tra le pagine di un vecchio taccuino ("Sí, era come se avessi voluto lasciare, nero su bianco, indizi che in un futuro lontano mi avrebbero permesso di chiarire ciò che avevo vissuto sul momento senza capirlo del tutto. Segnali morse trasmessi alla cieca, nel caos più completo. E sarebbe stato necessario aspettare anni e anni prima di riuscire a decifrarli.").
Dalla memoria nebbiosa di Jean, lo scrittore protagonista del racconto, emerge nitido il ricordo di Dannie, una ragazza misteriosa e, forse per questo, pericolosamente affascinante. Dannie non manca di sedurre anche il lettore, che riesce a stento a metterla a fuoco, grazie alla descrizione, volutamente abbozzata, quasi distratta, che di lei fornisce Modiano: "Dietro la vetrina, sotto la luce troppo violenta dei neon, i capelli di Dannie non erano più castano chiaro, ma biondi, e il suo incarnato era ancora più pallido del solito, latteo, cosparso di efelidi.".
Jean conosce Dannie alla caffetteria della Cité Universitaire di Parigi, dove si recava spesso "a cercare rifugio"; scopre così che la ragazza risiede temporaneamente in una camera dell'ateneo, presso il padiglione degli Stati Uniti, pur non essendo né una studentessa, né americana.
La frequentazione di Dannie (che si scoprirà non essere neppure il vero nome della ragazza), porterà Jean a ritrovarsi nel mezzo di delicati rapporti diplomatici tra il governo francese e quello marocchino, a doversi confrontare con individui loschi, a soggiornare clandestinamente con la giovane in un'isolata casa di campagna, ad introdursi furtivamente in un appartamento, finanche a rimanere invischiato in un caso di omicidio.
Nonostante il romanzo sollevi numerosi interrogativi, il lettore non dovrà stupirsi se il finale non porterà con sé (quasi) alcuna risposta: questo, in fondo, a Modiano non è mai interessato.
Molti romanzi dello scrittore francese Premio Nobel ("Perché tu non ti perda nel quartiere" e "Incidente notturno", per citarne un paio) hanno la medesima impostazione del racconto oggetto di questa recensione: un vecchio taccuino, degli appunti annotati su di esso decenni addietro, delle dinamiche poco chiare da ricostruire.
Perché mai scrivere una serie di romanzi così profondamente simili tra di loro? La mia è solo un'ipotesi, basata sulla mia esperienza di lettore: di norma, leggendo un romanzo, tendo a concentrarmi sulla trama e sui suoi sviluppi, e provo a mettere in fila le informazioni fornite dall'autore per dare un senso alla vicenda narrata, onde trarre delle conclusioni, delle riflessioni. In Modiano, però, la trama è molto spesso nient'altro che un pretesto per sviluppare il tema del ricordo come antidoto all'oblio ("Avevo bisogno di punti di riferimento, [...] come se temessi che da un momento all'altro le persone e le cose si dileguassero o sparissero e fosse necessario conservare almeno una prova della loro esistenza."), alla solitudine ("Scrivo queste pagine per trovare linee di fuga e scappare attraverso le brecce del tempo."), ad una malinconia che consuma l'anima. Lentamente, allora, ho maturato la convinzione, romanzo dopo romanzo, che forse stavo sbagliando approccio; forse non avrei dovuto curarmi più di tanto della trama (i fatti raccontati da Modiano non sono mai cristallini, ma sempre annacquati da punti di vista soggettivi, vuoti di memoria, sogni, dal passato che si confonde con il presente: tendono a sfuggire, a non costituire solidi appigli per il lettore).
Quando lessi il mio primo romanzo di Modiano rimasi rapito dalla sua maestria nel mettere in fila le parole, nel creare immagini evocative, nel ricavare una riflessione poetica e malinconica a partire dagli oggetti più comuni o insignificanti: "Sono certo che nella casa di campagna abbiamo lasciato una luce accesa da qualche parte. [...] Oggi sono convinto che non si trattava né di dimenticanza né di negligenza, ma che al momento di andarcene ero io ad accendere di proposito una lampada. Forse per scaramanzia, per scongiurare la malasorte e soprattutto perché rimanesse una traccia di noi, un segnale che indicasse che non eravamo davvero assenti e che un giorno o l'altro saremmo tornati.".
Alla lettura del mio secondo romanzo di Modiano ho imparato ad attendere con curiosità e ad accogliere con gioia queste sue riflessioni agrodolci e piene di poesia; ho inoltre cercato di prestare maggiore attenzione ai dettagli, a quelli che normalmente trascurerei (il nome di un hotel o di una via, la descrizione di uno stato d'animo,...), nella speranza che potessero aiutarmi a trovare l'altro capo del filo, perso chissà dove, chissà quando.
Questa volta, la mia terza, ho deciso di affrontare la lettura del romanzo oggetto di questa recensione, "L'erba delle notti", utilizzando il medesimo approccio della volta precedente, senza però l'ossessione di voler trovare una risposta a tutti i miei interrogativi.
Ebbene, soffermandomi anche sui dettagli più insignificanti, ho scoperto una bellezza sottile, nascosta tra le pieghe della quotidianità, ed ho trovato in essa conforto (quando non anche rifugio). Dando importanza ad ogni piccola sfumatura, inoltre, sono riuscito a farmi un'idea, inaspettatamente e quasi senza volerlo, di ciò che è accaduto, delle vicende che ossessionano il protagonista del racconto. Un'idea generalissima, sbiadita, che lascia ancora scoperti molti interrogativi, ma tanto mi basta, e tanto basta in realtà anche a Jean, che conserva così un pretesto per continuare a ricordare, per lasciare accesa una luce mentre fuori è buio: "Il bosco, i viali deserti, la massa scura dei palazzi, una finestra illuminata che ti dà la sensazione di aver dimenticato di spegnere la luce in un'altra vita, oppure che qualcuno ti stia ancora aspettando... Tu devi essere nascosta in quei quartieri. Sotto che nome? Prima o poi troverò la via. Ma, ogni giorno, il tempo stringe e, ogni giorno, mi dico che sarà per un'altra volta.".
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Grazie per le tue belle parole, le ho molto apprezzate.
Adoro Modiano perché con ogni suo romanzo riesce a spingermi a delle riflessioni profonde (sempre inerenti il tema del ricordo, circa il quale propone, di volta in volta, riflessioni nuove), riflessioni che normalmente non affronterei neppure, vuoi per l'assenza di un giusto "input", vuoi per l'intrinseca delicatezza del tema, che può arrivare a toccare corde profonde dell'anima di ciascuno. Ecco, diciamo che Modiano dà gli input giusti, ma soprattutto sa perfettamente come toccare quelle corde: le pizzica appena, con maestria e sensibilità, e lascia che la loro vibrazione faccia il resto.
Questo è il motivo principale per cui leggo (e continuerò a leggere) Modiano.
Qual è il tuo?
(Sul fatto di diluire nel tempo la lettura delle sue opere, mi trovo più che d'accordo)
Anch'io amo la scrittura di Modiano ; pertanto le suggestioni di questo libro mi sono piaciute.
dal romanzo, mi ha rapito.. ed io che nutro una passione sconfinata per la scrittura evocativa,
carica di immagini e suggestioni, non posso che appuntarmi il titolo e ringraziarti per aver condiviso
le tue riflessioni su questa lettura.
Complimenti Erich!
Sì, se apprezzi la scrittura evocativa e il suono delle parole, Modiano è l'autore perfetto per te; credo davvero che questo titolo possa fare al caso tuo.
Grazie ancora, ho sinceramente apprezzato il tuo commento!
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