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Oscura onnipresenza...
“ …Forse è nell’ istante in cui ci rendiamo conto, in cui ammettiamo che nel male c’e un disegno logico, è allora che moriamo “….
“ Santuario “ ( 1931 ) è un bagno prolungato, una apnea asfissiante, una caduta vertiginosa ed un lento consumarsi, sin dall’ inizio, di qualsiasi speranza ed idea salvifica, abbandonando la ricerca di un qualsivoglia senso e logicità.
E’ una trama spoglia, essenziale, come l’ ambientazione lugubre e tediosa in quella… “ casa in rovina che si ergeva contro il cielo, buia, desolata, meditabonda “…
Il groviglio dei personaggi riflette la tragicità degli eventi senza una scansione definita, fatti e sensazioni vissuti sempre in un preciso istante, affacciatisi in imprevedibili balzi spazio-temporali, caos, dialoghi spezzettati, elisioni, incastri in un puzzle che pur possiede una logicità di fondo, una tragicità fagocitante e disorganizzata a mostrarne apparenza e sostanza.
Tra Mississippi e Missouri, negli anni del Proibizionismo e della Grande Depressione, in un angolo profondo e sperduto d’ America, si erge una distilleria clandestina gestita da un gruppo eterogeneo di sbandati e malviventi guidati dal famigerato Popeye, uomo enigmatico dal passato inquietante con un presente altrettanto nebuloso ed agghiacciante.
L’ arrivo apparentemente casuale di Temple Drake, diciassettenne dagli occhi distaccati, rapaci e discreti, …” non più proprio bambina, non ancora donna “… darà il la’ ad una spirale di desiderio, violenza e morte, innescando reazioni a catena e vicende inaspettate.
Popeye, nel suo incedere lento e guardingo, violera’ ‘sadicamente’ l’ intimità di Temple e si macchierà di un delitto compiuto con vorace freddezza. La verità si scanserà e le indagini porteranno altrove legittimando un’ accusa infondata, ma il male è di casa, si abbatterà sui protagonisti e nel finale, beffardamente, sullo stesso Popeye.
Qui nessuno si salva, non c’ è catarsi, il male imprigiona e continua a coagulare gli eventi, le prime ottanta pagine inseguono una traccia che il lettore stenta a trovare, non vi è una consequenzialità di fatti, ma un incastro di sensazioni, di odori, una sporcizia ed impudicizia che abbraccia ogni cosa, luoghi bui ed anime perse, un pugno allo stomaco in una fusione di eterogeneità intimamente connesse.
Si vive di attesa e paura, la stessa che sentono i personaggi, e di violenza protratta, per quello che già sappiamo accadrà ed è già accaduto, il profumo del male pervade ogni dove, è quotidianità, infarcito di dialoghi secchi, di violenza silente, di sguardi e movimenti nell’ ombra, di un caos organizzato ( dall’ autore ) che sembra volerci dire: questa è la crudeltà della vita, nessuna speranza né possibilità di redenzione o salvezza.
È un mondo alla deriva, corrotto, sudicio, impietoso, sadico, dimenticato, che abbraccia indistintamente ogni strato sociale, i protagonisti si fondono indistintamente in un respiro soffocato, in quel tutto che è niente, se non una incombente e remota minaccia sempre presente.
L’ autore fa parlare gli eventi, miscela a dovere ingredienti diversi, si astiene da un qualsiasi giudizio, anche se il giallo intessuto nella seconda parte destituisce una certa forza al racconto, fino a quel momento stupefacente.
Di certo la postfazione dello stesso Faulkner, e quel suo ritenere il romanzo di poco conto, una trovata esclusivamente commerciale, con una trama semplice e scontata, pare essere una boutade per confondere critica e lettori o, per contro solo per generare interesse.
Non credo che le sue parole rispecchino il vero, ne’ il proprio pensiero, così come pare che la stesura del romanzo sia frutto di un lavoro certosino, scansando l’ idea che sia stato ideato e scritto velocemente esclusivamente a scopo commerciale e per esigenze di danaro.
C’è molta forza, e verità, tra le pagine, e la scrittura è viva e pulsante. Forse l’ intreccio narrativo non sempre è all’ altezza, ma mi pare che il primo aspetto sia preponderante e certamente non di poco conto.