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La semplicità della grande letteratura americana
Che Kent Haruf abbia avuto a cuore di descrivere con semplicità la semplicità complessa, si perdoni l’ossimoro, della vita di una piccola comunità americana di una cittadina del Colorado, appare evidente sin dal titolo del romanzo “Plainsong”, che oltre al riferimento dotto di un canto piano diffuso nel medioevo, come precisa in una nota introduttiva il traduttore Fabio Cremonesi, significa “canto semplice e sobrio”.
Siamo infatti di fronte a una narrazione scorrevole e coinvolgente che introduce una serie di piccoli quadri di vita quotidiana in cui il vero protagonista è l’uomo-antieroe, lo stesso che abbiamo imparato ad apprezzare e ammirare nei quadri di Hopper. Alla descrizione della vita provinciale della piccola cittadina Holt, si alternano immagini di vita di campagna, ora serena e contemplativa, ora feroce e spietata. Tutto secondo la visione realistica del mondo di uno scrittore che rifugge da qualsiasi esagerazione romanzesca.
E’ in questa prospettiva che vanno considerati i personaggi, in ognuno dei quali il lettore può riconoscere parte di sé. Così Guthrie, insegnante e padre di due ragazzi, si trova solo a dover assolvere a una duplice complicata funzione di educatore, mentre Ella, sua moglie, in un perenne stato depressivo rinuncia al suo ruolo di moglie e di madre. Ike e Bobby poco più che bambini, imparano ad affrontare la vita con silenziosa sofferenza per l’abbandono della madre e ad avere come unico punto di riferimento la figura paterna.
Splendido è il personaggio di Victoria Roubidaux. Il senso di responsabilità di questa adolescente divenuta donna bruscamente fa da contraltare all’egoismo di sua madre che non esita a respingerla perché incinta, come stupendi sono i due fratelli McPheron rozzi allevatori dal cuore d’oro, che accolgono Victoria e la assistono. Né mancano personaggi negativi, quali Beckman e Dwayne, che rappresentano il lato ignobile dell’uomo.
Una contrapposizione di personaggi e di valori, dunque, che non può semplicisticamente ridursi a una rappresentazione del bene e del male. E’ un ritratto del mondo in cui viviamo con i suoi contrasti e le sue contraddizioni. E ciò che rende ancora più interessante la narrazione di Haruf è che lo scrittore non segue i personaggi nel loro iter psicologico, ma lascia al lettore la facoltà di interpretarne i pensieri e i sentimenti, conferendogli così un ruolo attivo nel romanzo. E’ la stessa tecnica già usata nella grande letteratura americana da Hemingway che sosteneva che nei suoi romanzi ciò che era immediatamente evidente altro non era che la punta di un iceberg. Al lettore interpretare tutto ciò che rimaneva sottinteso.
Un romanzo che ha come protagonista l’uomo che nella sua singolarità riesce tuttavia a rappresentare la collettività nella sua “normalità”, un’opera che rifugge dalle rappresentazioni romanzesche e si fa cronaca di vita vissuta.
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