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La storia siamo noi
Secondo volume della Trilogia della pianura, Crepuscolo, come per gli altri, è ambientato nel Colorado, a Holt, immaginaria cittadina rurale che, pur tuttavia, appare notevolmente realistica, riassumendo caratteristiche di numerosi analoghi insediamenti americani. Ancora una volta Kent Haruf dimostra le sue straordinarie qualità di narratore, capace di rendere avvincenti fatti che sono per lo più del tutto ordinari. Lo stile asciutto, ma non povero fa sì che il romanzo avvinca il lettore dalla prima all’ultima pagina, grazie a un’ambientazione che si potrebbe definire quasi perfetta e a personaggi, che pur nella loro normalità sono portatori di storie e situazioni di straordinaria umanità. Non c’è un preciso filo conduttore, ma ci sono storie, all’apparenza del tutto autonome, che poi finiscono per l’incrociarsi, una serie di racconti accomunati solo dal luogo, appunto Holt, e dalla volontà dell’autore di farci conoscere personaggi che finiscono con il diventare protagonisti, come è il caso del ragazzino DJ Kephart che vive con l’anziano nonno, unico parente rimastogli, essendo orfano e che ha un disperato bisogno di comunicare con qualcuno della sua età, trovandolo in una coetanea vicina di casa, o i coniugi Luther e Betty Wallace, e i loro due giovani figli, che vivono ai margini della società a carico della pubblica assistenza, o ancora la vicenda dei fratelli anziani e scapoli Harold e Raymond McPheron che un giorno hanno accolto e assistito Victoria Roubideaux, una giovane con la sua bambina piccola. Sono figure che normalmente potrebbero apparire anonime, ma occorre considerare che ognuno di noi ha una sua storia, unica e irripetibile, che molto probabilmente non sarà mai conosciuta. Ecco, Haruf vuol far conoscere le storie per niente straordinarie di gente come noi e che tuttavia rivela qualità insospettabili, sovente non note agli stessi interessati. Per lo più aleggia una certa malinconia, ma l’abilità dell’autore sta nello stemperarla, di lasciarla come un cenno e, soprattutto, di lasciare spazi, magari dopo tanto dolore, alla speranza. E’ questo il caso dei McPheron, che, poco dopo che la ragazza che avevano ospitato li ha lasciati, unitamente alla sua bambina, per seguire i corsi universitari, vanno incontro a quello che avevano sempre temuto, cioè l’assoluta solitudine, assoluta perché Harold muore ucciso da un toro e, benché i vicini e anche Victoria Roubideaux stiano per quanto possibile accanto al superstite Raymond la vita non è più la stessa e l’uomo ha bisogno di ben altro, non di affetto, ma di amore, ed è bello vedere quanto si presti una famiglia amica affinché ciò avvenga. I primi approcci di un uomo anziano, che mai aveva avuto donne, sono di una bellezza incredibile e inevitabilmente emozionano e commuovono.
A Holt, che a prima vista può sembrare un agglomerato urbano in cui regna la monotonia, invece si nasce, si vive, si ama e si muore, certamente come in tutto il mondo, ma ciò che conta è che la storia di ognuno , con suoi pregi e con i suoi difetti, è lo specchio di un’umanità di cui siamo parte. Altri luoghi, certo, altre latitudini, ma non c’è nulla di più bello di accorgersi che la storia non è tanto quella scritta sui libri di scuola, non è quella dei personaggi famosi, perché la storia siamo noi.
Un capolavoro.
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