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" Divampino le libido "
La genesi di un autentico capolavoro come “ Qualcuno volò sul nido del cuculo “ non poteva non essere alquanto singolare.
Negli anni ’50 Ken Kesey è un giovane e talentuoso scrittore affascinato dagli slogan rivoluzionari della Beat Generation. Dedito all’ uso di sostanze stupefacenti, si fa assumere come inserviente nel reparto psichiatrico di un ospedale e stando a stretto contatto con i pazienti si convince del fatto che non siano affatto pazzi ma semplicemente rifiutati dalla massa, superficialmente dichiarati non idonei alle rigide imposizioni della società.
E proprio un ospedale psichiatrico è il luogo dove sono ambientate le vicende di questo intramontabile romanzo datato 1962.
In particolare ci troviamo catapultati nella corsia dei Cronici, ovvero coloro che non nutrono sufficienti speranze di guarigione, e dei volontari, cioè pazienti fragili che si ritengono non idonei a condurre una normale esistenza al di fuori delle pareti della struttura.
Il narratore è Bromden, un gigantesco pellerossa che da anni si finge sordo e muto e che accompagna il lettore tra realtà e visioni notturne causate dalle pillole che tutti sono costretti a ingurgitare prima di andare a dormire.
La direzione del reparto è affidata a Miss Ratched, fredda infermiera che dietro l’ apparenza forzatamente cordiale e rilassata nasconde una personalità crudele e tirannica, maniaca del controllo e della routine.
E poi arriva lui. Il boscaiolo impettito con i pollici infilati nelle tasche e i rinforzi di ferro sotto le scarpe. Lo spavaldo giocatore d’ azzardo. Il rissoso irlandese dai capelli rossi. Randle McMurphy.
Giunto all’ ospedale per sfuggire alla galera e ai lavori correzionali, l’ energico e provocatore ultimo arrivato ci mette poco a creare un piacevole scompiglio all’ interno del reparto con richieste e proteste non convenzionali, audaci scommesse, giochi d’ azzardo e mirabolanti racconti di donne innamorate, risse nei bar di periferia e bevute interminabili.
Tutto questo con il solo e dichiarato obiettivo di risvegliare dal torpore i compagni di corsia e di sfiancare Miss Ratched, da subito individuata da McMurphy come il simbolo della tirannia ospedaliera.
Il testo è un’ altalena di emozioni tra situazioni divertenti e riflessioni profonde volte al graduale recupero di identità private da troppo tempo di orgoglio e leggerezza.
Soltanto grazie alle gesta del rosso irlandese gli indimenticabili e originali pazienti riscoprono il potere terapeutico di una sana risata, di quanti benefici sono in grado di apportare anche solo un pizzico di coraggio e spavalderia.
Impareranno che non è mai troppo tardi affinchè anche persone stravaganti, incomprese, emarginate e destinate alla sconfitta come loro possano definirsi libere.
“ Si deve ridere delle cose dalle quali si è feriti per mantenere l’ equilibrio. Non si può essere realmente forti finchè non si vede l’ aspetto divertente delle cose “.
“ Qualcuno volò sul nido del cuculo “ è un romanzo coraggioso. Impossibile non notare le critiche all’ eccessivo uso di elettroshock e lobotomia tipico di quegli anni. “ A noi fanno ingurgitare pillole per impedire gli attacchi, e ad altri danno la scossa per farglieli venire”.
Così come forte nella società descritta da Kesey è il razzismo nei confronti di un certo tipo di individui, siano essi i pazienti o i pellerossa come Bromden.
Mi è occorso davvero poco tempo per capire che ero di fronte ad uno struggente capolavoro, destinato ad entrare nella testa e sotto la pelle di qualsiasi lettore. Al pari del bellissimo omonimo film che ne è stato tratto, girato da Milos Forman e con uno strepitoso Jack Nicholson nei panni dell’ inimitabile Randle McMurphy.
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