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L'esule Jean Lino
“Quando Jean Lino era piccolo, ogni tanto dopo cena suo padre prendeva il libro dei Salmi e leggeva un passo ad alta voce [..] «Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci sedemmo e piangemmo al ricordo di Sion».”
È il salmo 136 pervaso di dolore e di nostalgia per qualcosa che si è perso, è il canto degli esuli.
Gli uomini hanno sempre perso qualcosa o hanno sempre qualcosa da perdere.
“Non sono i grandi tradimenti a provocare la malinconia, ma il ripetersi di perdite infime.”
Èlisabeth ha un vicino di casa, un marito, una sorella, una madre che muore, spesso soffre della malattia dei ricordi.
Ha dei giorni si e dei giorni in cui subisce la minaccia del tempo, l’ansia di non poterlo fermare o tornare indietro, con la sensazione di averne perso un pezzo.
“Certi giorni, quando mi sveglio, la mia età mi prende alla gola. La nostra giovinezza è morta. Non saremo mai più giovani. È questo mai più che è vertiginoso.”
Jean Lino ha una vicina di casa, una compagna hippie, pseudo vegetariana, cantante jazz e un gatto Edoardo, che come si intuisce dal nome, comprende solo l’italiano.
Un uomo allegro ma non troppo, attento, che vive senza fare troppo rumore.
Una sera, una festa: tartine, cocktail, risate forzate, argomenti mancanti, silenzi imbarazzanti.
Tutti vanno via, la festa è finita.
Un omicidio nella notte, ma senza aloni di mistero, subito confessato.
I due vicini si incontrano e si scambiano bocconi di umanità nuda, senza filtri, istintiva e bestiale, con fuorviante naturalezza.
Una forma delicata e calma avvolge l’intreccio. L’autrice Yasmine Reza sottolinea così l’umana spontaneità dei gesti e delle parole, persino dell’omicidio che è sotto gli occhi di tutti un istinto, seppur moralmente deprecabile, dell’uomo.
Jean Lino è uno di noi: gli scatti d’ira e di impazienza nascono proprio dalle situazioni meno drammatiche e da quelle che appaiono più insignificanti, le classiche gocce che fanno traboccare un vaso bello pieno di vita, di sopportazione e di incomprensioni.
Èlisabeth è una donna che si presenta fin da subito come poco eccezionale ma profondamente portata per l’umanità. Comprende e accetta il gesto di Jean Lino.
Quello che il conoscente ha commesso non cancella il ricordo del Jean Lino conosciuto e frequentato, anche piacevolmente, nei giorni precedenti.
Non ha paura, anzi, quasi lo compatisce, non con quel senso di pietà tipico del sentimento comune bensì secondo il significato del termine compatire, soffrire e sopportare insieme.
È come se Èlisabeth dicesse “sarei stata capace di farlo anche io, tranquillo”.
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