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Gli ultimi saranno i primi
Spesso mi è successo di parlare con persone che ritenevano gli autori russi incapaci di scrivere romanzi con l’amore come elemento centrale. Se c’è qualcosa che in “Delitto e castigo” manca non è di certo l’amore, in ogni forma e sfaccettatura: il tenero affetto di una madre, quello di un amico o di una sorella e soprattutto la passione e la devozione per la persona amata.
Nel capolavoro di Dostoevskij c’è poi spazio per moltissime tematiche, che portano il lettore a riflettere su svariate questioni; sembra che ogni personaggio porti con sé uno o in alcuni casi più argomenti, come Katjerìna, con il suo orgoglio imperituro, a dispetto dell’umilissima condizione, e Andrèj che annuncia il prossimo avvento di un mondo senza differenze e barriere, ossia l’utopia del comunismo. La “teoria” più affascinante a mio avviso è però quella dell’arscin, il minuscolo spazio in cui ogni uomo sarebbe disposto a vivere pur di non dover andare incontro alla morte.
La tematica sovrana, e ancor oggi attuale, è rappresentata dal quesito che tormenta il protagonista: fino a che limite ci si può spingere per il bene comune? La morte di un solo essere abbietto trova giustificazione nella salvezza di decine di innocenti? Il delitto che da inizio alle vicende non è infatti dettato da uno scopo meramente materiale, ne dalla semplice cattiveria; il protagonista Raskòlnikov possiede anzi un forte senso della giustizia, seppur non in senso canonico. Questo porterà non solo alla decisione finale di costituirsi, ma anche a moltissime riflessioni sulla legittimità, prima e dopo l’assassinio.
Attorno a questo anti-eroe, si crea un cosmo di personaggi affascinanti e perfettamente delineati, tanto da poter notare il lavoro di caratterizzazione anche nelle comparse. In linea generale, Dostoevskij da’ vita a personaggi maschili viziosi, seppur consci dei propri difetti -in primis lussuria, gola ed ira-, mentre le figure femminili sono quasi sempre pie e devote, in special modo alla famiglia; esempi lampanti sono Dùnja e Sonja, per le quali si configurano delle storie quasi fiabesche, con le eroine vessate ed umiliate che trovano infine il riscatto e il vero amore.
“Delitto e castigo” si dimostra anche tra i capostipiti del genere thriller, non solo per l’omicidio e l’indagine che ne consegue, ma soprattutto per le svolte inattese che sorprendono il lettore e per l’intelligente inserimento di piccoli indizi, destinati a tornare in mente nel momento in cui qualche mistero viene svelato, come nel caso del piano di Lùgin.
La straordinaria abilità dell’autore permette inoltre al lettore di empatizzare con tutti i personaggi, perfino con gli antagonisti o con chi assume dei comportamenti deprecabili come Marmelàdov; d’altro canto, il lavoro d’introspezione focalizzato in gran parte sul protagonista permette di provare le sue stesse ansie ed angosce, oltre a simpatizzare con la sua idea del bene comune che giustifica ogni azione. È interessante notare la presenza di moltissimi riferimenti alla fede cristiana e al valore dei beni, con tanto di cifre enunciate; ciò si può ricollegare all’esperienza diretta dell’autore, che spesso cita dettagli autobiografici.
Per quanto riguarda quest’edizione Newton Compton, oltre agli errori di battitura a cui ormai sono rassegnata, il volume presenta un paio di difetti abbastanza rilevanti: per dialoghi e pensieri viene utilizzato il medesimo segno grafico, causando così inutile confusione nel lettore, e la traduzione in generale sembra un po’ datata, con molti termini a dir poco desueti.
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