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Una difficile integrazione
“Immaginate che cosa vuole dire vivere in mezzo a noi come se si avesse un doppio fondo, vivere contemporaneamente due realtà diverse ed opposte? E quando voi, seduti in poltrona il venerdì sera tornate a parlare di queste cose, non potete fare a meno di parlarne, e cianciate di gruppi d’élite, di votati al suicidio, di fanatici frustrati, a me viene da ridere o da gridare […..] . Ma di chi credete di parlare? Oggi lui è operaio nel mio garage, sottomesso e paziente, sorridente e fedele. E domani una belva feroce.”
Questo è certamente uno dei brani più significativi del primo romanzo di Abraham Yehoshua, L’amante, un’opera complessa il cui messaggio va ben al di là della semplice trama. La scelta di una narrazione polifonica ha certamente contribuito ad offrire al lettore la possibilità di valutare con maggiore obiettività una realtà che muta con il mutare del punto di vista del narratore. Non è tanto dunque la storia in sé che ci interessa, non la ricerca continua da parte di Adam di quell’amante perduto, l’unico che abbia restituito a Asya, sua moglie, una certa gioia di vivere e quell’entusiasmo spentosi nel corso degli anni, durante una vita non priva di affanni e dolori, quanto piuttosto interessa l’ambiente in cui ha luogo la vicenda, i personaggi eterogenei che la animano e che sono portatori di culture e valori diversi. Tra Haifa e Gerusalemme, la vita di Adam, Asya e Dafi, scorre a fianco a quella degli operai di Adam, arabi palestinesi, disciplinati e silenziosi lavoratori, orgogliosi e riluttanti ad una totale integrazione. Il punto centrale è proprio questo ed è molto bene espresso nel personaggio di Na’im, desideroso inizialmente di raggiungere quel benessere che il mondo ebraico sembra potergli offrire e garantire, per poi staccarsi lentamente da esso e rientrare a poco a poco nel suo mondo. Sullo sfondo la guerra arabo-israeliana del 73, conosciuta anche come guerra del Kippur, una guerra che appare incomprensibile, confusa e ambigua attraverso la descrizione che ne fa l’amante Gabriel, che appare in queste pagine, in tutta la sua mediocrità, come un potenziale o reale disertore, un opportunista, come colui che ritorna in patria solo per usufruire dei vantaggi che gli si offrono, ma la cui dignità è messa in discussione. Ogni personaggio dunque appare nella sua dimensione di antieroe, da Adam a Dafi, figlia ribelle, a Asya, fredda pur se sognatrice, a Na’im, che impara presto l’arte dell’opportunismo. Un romanzo senza eroi, dunque, che tuttavia sembra suggerire una possibilità di convivenza pacifica e civile. Non si deve dimenticare che Yehoshua, insieme con Oz e Grossman è stato tra i firmatari della petizione per il riconoscimento dello stato della Palestina. Ciò dimostra come in definitiva questa soluzione non solo non si ritenga impossibile, ma soprattutto si ritenga auspicabile.
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L'autore è sicuramente un grande scrittore, ma trovo spesso i suoi libri non lineari (al loro interno) per qualità. L'unico suo testo che ho letto tutto d'un fiato è "Ritorno dall'India".